“C’era fra loro gente della Valsassina, e il sig. Antonio Melesi, divenuto successivamente sindaco del comune di Cortenova, diede il via a tutta quella serie di operazioni che portò alla ricostruzione della chiesa di Avilla, la prima parrocchiale costruita dopo il sisma, e per di più senza aspettare i contributi pubblici, ma con la sola raccolta di offerte di gente generosa”
“Abbiamo cercato di far giungere la nostra presenza a Cortenova quando quel comune fu provato dalla grande frana che tempo fa sconvolse la vita dei suoi cittadini come il terremoto fece con noi. Sappiamo però che la nostra riconoscenza non potrà mai essere espressa ad uno a d uno a questi generosi che ci hanno dato la forza di riprenderci e andare avanti”
(Comune di Buia – Dal volume pubblicato in occasione
del trentesimo anniversario del terremoto)
Domanda per i non più giovanissimi.
Vi ricordate dove eravate la sera del 6 maggio 1976? Anzi, più precisamente, alle 21 del 6 maggio 1976?
Io sì.
Merate, Brianza, terzo piano di una palazzina di quattro.
Bicchieri e piatti che si agitano nelle credenze, lampadario che dondola, poltrona che si muove mezzo metro in avanti.
Situazione difficile da comprendere, da metabolizzare, non ci siamo abituati, non abitiamo a Tokyo o Los Angeles.
Terremoto. Anche molto vicino. Decisamente molto vicino.
Gemona, Venzone, Buia, Osoppo, e decine di altri paesi entrano nelle nostre vite; quasi in mille rimangono sepolti sotto la valanga delle loro case abbattute dal temporale arrivato dal sottoterra, dalle onde che liberano energia nascosta e pronta ad esplodere a loro insindacabile giudizio.
Prima c’era tutto e poi più niente; c’era la luce e poi il buio; c’erano il passato, il presente e il futuro, poi solo paure. Disperazione e pianto in mezzo alla polvere. E polvere che si aggirava tra contrade spazzate via, penetrando negli occhi e nei cuori.
E qui iniziano mille storie, una ci riguarda da vicino. Decisamente da molto vicino. Siamo della Valsassina, diamine, montanari, lassù hanno bisogno, non c’è tempo da perdere.
Passano poche settimane, parte la prima spedizione, badili, cazzuole, calce, malta, quel che serve per rimettere in piedi qualcosa.
Il camion dell’Ambrogio Rossi è stracarico.
Destinazione Venzone dove svuotano il cassone e prendono la strada del ritorno. C’è una fermata da fare a Avilla, posto mai sentito nominare, frazione di Buia, per ritirare un carico da portare a Lecco.
Mangiano in una tenda. A un certo punto sulla strada vedono un Scioor Curaat in bicicletta. Don Camillo? No, Don Saverio, Saverio Beinat. Parlano di Venzone e lui dice “Perché non venite qui? Abbiamo bisogno anche noi”.
Scioor Curaat accontentato. Ad agosto da Cortenova arriva una squadra e, almeno con il cuore, non se ne andrà mai più. Gritti, Steven, Basso, Spelufa, Livio, Carlin e molti altri ancora: nomi e soprannomi di gente che aveva deciso di aiutare altra gente, come sempre in passato, come succederà ancora in futuro.
Don Beinat venne in Valsassina nel dicembre di quell’anno drammatico, e lo ricorda in una sua lettera del 1995.
“Nel dicembre 1976 fui a Cortenova: desideravo esprimere i dovuti ringraziamenti alla Comunità Montana della Valsassina che donò una casa prefabbricata alla popolazione di Avilla”.
E’ crollata l’abitazione del casaro, abbiamo bisogno, una preghiera sussurrata che fu raccolta, tramite il Tonino Melesi, dal Giovannino Fazzini, e il casaro di Avilla, detto fatto, nell’ottobre del 1976 tornò a vivere sotto un tetto.
Ma, come scrivo spesso in questo confessionale laico della domenica, quando si apre una porta è molto probabile – anzi quasi sicuro – che se ne spalanchino altre.
E così fu anche in quel dicembre 1976.
Scrive Don Beinat: “in quella circostanza visitai la chiesa di San Pietro. Rimasi colpito perché tutto invitava al raccoglimento e alla preghiera. Seppi dal Prof. Melesi che l’aveva progettata l’architetto Adelino Manzoni, valido professionista, certamente disposto a progettare anche quella di Avilla”.
Maggio 1977. Tonino Melesi e Delino Manzoni sono ancora là (l’architetto ci andrà, almeno in veste ufficiale, venticinque volte).
Si guardano intorno, vedono l’area. Ol Scioor Curaat di Avilla rimane impressionato: l’architetto gli descrive la chiesa come se fosse già lì, davanti ai loro occhi, bell’e pronta per essere riempita di fedeli e delle loro preghiere, per appenderci una Croce e sistemare una Madonna.
Problema: pochi soldi. Risposta: “Non si preoccupi, basta metà delle spese vive”.
Al resto penserà la Provvidenza che in certi casi dimostra ampiamente di esistere seppellendo gli scettici sotto le sue prodighe valanghe.
Settimana Santa 1978: presente anche il nostro Scioor Curaat, il Don Carlo Antonini, viene posata la prima pietra.
18 ottobre 1980, due anni e qualche mese dopo: c’ero anch’io, lo ricordo bene.
Partenza in pullmann dalla Sostra che era ancora notte, viaggio lungo, lunghissimo, mai stato da quelle parti, andiamo ad Avilla di Buia dove la chiesa viene consacrata con una grande festa.
Intorno le macerie sono ancora visibili, ma vengono nascoste dalla vittoria imperiosa della Provvidenza, della generosità stupefacente di un mare di gente ed anche del cuore pulsante della Valsassina che ha risposto “presente”.
Molte lacrime, molti sorrisi. Sembra che il terremoto, anziché demolire abbia forgiato una nuova umanità, cementato amicizie, dipinto legami indissolubili, rinnovato il mistero della vita che continua.
Sempre Don Beinat. “Oggi quella chiesa è oggetto di ammirazione e considerata per la struttura e le opere d’arte ivi disposte con proprietà e buon gusto la più bella sorta nella zona terremotata”.
L’architetto se ne è andato nel ’95, ol Scioor Curaat nel ’97, ma la loro chiesa, costruita a prova di terremoto, resterà lì per non so quanti secoli a ricordarli.
Il Tonino (il Prof. Melesi), invece, il prossimo fine settimana sarà a Buia, invitato a partecipare al ricordo del quarantesimo anniversario del disastro, perché la gente, da quelle parti di frontiera, ha la memoria lunga e se ha detto grazie una volta non smette di farlo per l’eternità.
Negli ultimi anni sono passato decine di volte da quei posti. Inevitabilmente, quando vedo i cartelli con i nomi dei paesi, non posso non ricordare questa ed altre belle storie che anche altri paesi della Valsassina hanno scritto da quelle parti; alla via Valsassina di Moggio Udinese che, non a caso, è una parallela di via degli Alpini; alla spedizione moggese su un pulmino verde guidata da un altro Scioor Curaat, Don Carlo Tenderini; all’indimenticabile amico Riccardo Lolla Villa.
E penso a quella chiesa uguale a quell’altra, a dov’ero alle ore 21 del 6 maggio, alla poltrona che si muove, al lampadario che dondola, ai piatti e ai bicchieri che ballano nelle credenze, alla brava gente che la terra ha sepolto, alla risurrezione quasi immediata, ai miracoli dell’amicizia e della solidarietà.
Ma, soprattutto, penso a cosa sono capaci di fare gli uomini quando vedono altri uomini in difficoltà.
Tendono la mano.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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