“Lontana è Milano dalla mia terra
2000 miglia più a Sud.
La nebbia non c’è, la pioggia nemmeno
lontana è Milano dalla mia terra”.
(Lontana è Milano – L’Orso bruno – Antonello Venditti – 1973)
Oggi, mentre scrivo, è il primo ottobre. Qualcuno si ricorda cosa significava il “primo ottobre” qualche epoca fa?
Bravi, giusto: iniziava la scuola. Tutti pronti, tutti bei vestiti, tutti con in mano una biro e un quaderno a righe e uno a quadretti, si sa mai.
Poi, il due ottobre (a meno che fosse, come quest’anno, di domenica) ti faceva capire in modo definitivo che i giochi erano finiti e i ricordi delle vacanze altro non erano se non foglie gialle da archiviare nello spazzacà della memoria.
Dei miei trascorsi scolastici eviterò accuratamente di parlarvi: prima di tutto perché sono sicuro che non vi interessa, in secondo luogo perché, forse, sarei poco d’esempio soprattutto se dovessi riferirmi alla cosiddetta “condotta”. Un disastro!
Ma se vi dico che ricordo bene come si chiamava il mio maestro di prima elementare e che l’insegnante più terribile (e, oggi lo posso affermare, brava, nonostante la mia inettitudine alla materia) che io abbia mai avuto è stata la prof di matematica di prima e seconda media, lo faccio solo per darvi uno spunto affinché anche voi facciate uno sforzo di memoria.
E per scoprire di averla davvero ferrea. Certi momenti, certe persone, certi luoghi, non ci abbandoneranno mai. Aggiungo: per fortuna. Voi, al solito, aggiungete quello che vi pare.
Buona o meno buona, però, la scuola è cominciata da tre settimane, con buona (scusate la ripetizione ma non ho trovato di meglio) pace di San Remigio e di tutti gli ex remigini che ogni anno (dipende dalla data di inizio) sono costretti a rivolgersi a patroni sempre diversi in cui confidare.
Aldilà di queste battute che ho voluto buttar lì nel tentativo di alleviare il senso di disorientamento provocato dalla pioggia che pure tutti attendevamo dopo settimane decisamente estive, voglio parlarvi di gente che viene da lontano, gente che ha lasciato la famiglia mille chilometri più a sud, è entrata nelle nostre vite, ci ha insegnato un po’ tutte le materie, magari facendo fatica a farsi comprendere a noi, craponi del Nord, abitanti delle rive della Pioverna, figli del ventre della Grigna.
Di queste persone ne ho recentemente incontrate due, guarda caso marito e moglie, guarda caso lui insegnante di matematica, lei di italiano: se aggiungo che lei da quest’anno si sta godendo una meritata pensione, molti avranno capito di chi sto parlando; ma, per il momento, i nomi non sono importanti, importanti sono le storie.
Importanti, soprattutto, i sentimenti.
“Ho sempre avuto le idee chiare” mi racconta lei che pure arriva dalla Romagna, quindi appena dietro l’angolo confessando una “vocazione” alla quale, dalle sue parti, sarebbe stato difficile rispondere vista l’esiguità di posti disponibili.
Poi, inaspettata, una chiamata: era il 1983 e, mentre Arpanet cambiava protocollo facendo nascere Internet, la prof di italiano arriva in provincia di Como. Prima Casatenovo, poi Cremeno e Introbio dove trova “attaccamento ai valori, genuinità, autenticità”, persone capaci di “mediare di più”, molto diversi dai suoi concittadini romagnoli “più reattivi, più aggressivi”.
Certo, i craponi (definizione mia, non della prof, sia chiaro) della Valle “erano più chiusi, ma alla fine i valori emergevano sempre” e magari anche silenziosi “gente che non fa rumore ma che è capace di farsi ammirare, ragazzi seri che tengono a far bene”.
Trova anche una definizione, “silenzio attivo”, e me la annoto. Fate così anche voi, sempre se volete.
Certo, negli anni ottanta il diploma di terza media spesso era un traguardo perché poi “andavano quasi tutti a lavorare, sino a quando i genitori hanno capito l’importanza dello studio e della scuola non solo come mezzo per acquisire un titolo ma anche come crescita culturale”.
Ed a questo cambio di rotta, dice “forse abbiamo contribuito anche noi”, ma io il “forse” lo toglierei subito.
Nel 1988 conosce il prof di matematica con il quale decide di condividere, oltre alla passione per la cattedra, una vita intera e una famiglia; il futuro marito arriva da molto più a Sud, il papà aveva un panificio in Sicilia e due figli gemelli con i numeri in testa. Infatti, entrambi si laureano in matematica ed entrambi decidono di insegnare.
Anche per lui il destino ha scelto il Nord e, per una di quelle incredibili combinazioni che la vita riserva, si ritrova con il gemello nella stessa scuola a Cremeno.
Bella storia quella dei “gemelli dei numeri”, come bello ed appagante può essere il mestiere dell’insegnante a patto di “non essere visto come una semplice occupazione: il fallimento, in questo caso, è certo perché i ragazzi lo captano e si comportano di conseguenza”.
E la scuola di oggi? “Non si vogliono investire risorse, c’è molta improvvisazione e, per fortuna, tanta buona volontà”.
Una volta c’era il preside, oggi “un dirigente scolastico che deve avere competenze universali dall’infanzia alle superiori, e capacità gestionali nei confronti di professori, personale ausiliari, tecnico e amministrativo, studenti, genitori”, migliaia di persone, migliaia di teste, migliaia di problemi, tutti iceberg che rischiano di far fare alla scuola la fine del Titanic.
E poi “le classi numerose con gli studenti costretti in aule inadeguate”: non lo dicono, i due prof, per cui lo dico io, alla faccia delle lezioni sulla sicurezza.
Cosa farà, adesso e poi, la prof in pensione? Scriverà, di sicuro. Quest’anno è uscito un suo bel racconto, s’intitola “L’intero” e narra una storia toccante da vivere riga per riga, ovviamente molto autobiografica (Romagna e Sicilia sono legate strettamente tra le due copertine) e non potrebbe essere altrimenti. Lo consiglio.
Adesso dovrei concludere e l’unico pensiero che scorre più o meno fluido è questo: visti da fuori, noi craponi della Valle siamo più belli di quanto a volte pensiamo, abbiamo qualcosa dentro che ci distingue e, come avrete intuito dalle parole di gente che viene da lontano e che di generazioni ne ha conosciute a bizzeffe, ci fa apprezzare.
Torniamo un po’ a domenica scorsa, alla risposta alla signora della pianura, alle centinaia di bambini che ho visto alle “Zootecniche” con la bocca aperta mentre guardavano dal vivo la fattoria del vecchio Mac Donald, facendosi un baffo del niente nascosto tra le sue parole (della signora, mica del Mac Donald).
Perché quei bambini, in fondo, siamo noi, abitanti delle rive della Pioverna, figli del ventre della Grigna, “gente che non fa rumore ma che è capace di farsi ammirare, ragazzi seri che tengono a far bene”.
Ricordiamocelo.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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P.S.: grazie alla prof. Cassani e al prof. Cicero.
Spero di non essermi meritato un brutto voto…
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L’ARCHIVIO DELLA RUBRICA DOMENICALE |
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