Qual è il ruolo del sacerdote, la sua mansione di pastore in una comunità, quello che lascia dopo dieci e più anni di servizio religioso? Il prete è “Un uomo che celebra i misteri cristiani e cerca di portare l’annuncio evangelico a quanti più possibile, un uomo che sta vicino alle persone in tanti momenti della vita, quelli gioiosi e quelli tristi, un uomo che spesso percorre le strade alla ricerca degli ultimi che hanno bisogno di conforto materiale e non solo. Ma anche un uomo percepito come solo, come appartenente a un gruppo che si assottiglia, quindi anche costretto a farsi in quattro, a sostenere ritmi di “lavoro” sfiancanti che si ripercuotono su quella che dovrebbe essere la sua dimensione primaria, quella spirituale. Sono tante le visuali dalle quali viene percepito il profilo del prete. Con tante luci legate alla sua attività ordinaria (quella che meno fa notizia e audience) e a quella straordinaria. Ma anche con qualche ombra legata sia al calo numerico, sia alla difficoltà di sintonizzarsi con la cultura di oggi, complessa e frammentaria, mediante gli strumenti e le modalità tradizionali di presenza.”
E’ lo stesso Benedetto XVI ad individuare nella funzione dei sacerdoti una crescente e spiccata tendenza al carrierismo e all’ imprenditoria più che alla cura della pastorale. Spesso questa inclinazione è usata per mascherare l’inadeguatezza dell’ essere al servizio degli altri, tutti, come pastore. Il sacerdozio non è un mezzo per raggiungere il potere o il prestigio. E’ monito di Benedetto XVI contro il carrierismo ecclesiale. In diverse occasioni in questi cinque anni di pontificato, Papa Ratzinger ha messo in guardia laici e consacrati dal pericolo sempre in agguato di credere che la Chiesa possa essere una holding da scalare. Non un luogo di servizio dove vivere la carità nella verità, bensì una fucina di potere da raggiungere anche con un infaticabile attività imprenditoriale.
Le parole del pontefice non lasciano dubbi: “Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato – ha proseguito il Papa -, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso. Il sacerdozio – ricordiamolo sempre – si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero".
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http://www.ilfoglio.it/palazzoapostolico/2917