Una vittoria che costò la vita a quasi 700.000 italiani, con oltre un milione di mutilati e feriti e più di 600.000 dispersi: cifre che devono far riflettere, numeri da ricordare. Si è detto più volte che fu una vittoria “frutto della dedizione, del sacrificio e dell’unità del popolo italiano”. Un popolo che rimase segnato profondamente e per molti anni, da quei tragici eventi. La guerra modificò i caratteri, i sentimenti, le aspettative e i sogni di tutti quelli che coinvolse, al punto che tanti si dissero “estranei a sé stessi”, come il soldato Gorch Jachs, caduto nel 1918 : “Io, con i miei nervi d’acciaio, posso fissare immobile la morte negli occhi, posso stare a udire, senza venir meno, compagni orrendamente feriti che gemono, e posso compiere azioni che non oso dire. Per tanti versi sono diventato un enigma nei confronti di me stesso. E tuttavia, riesco ancora a sentire di possedere un cuore più buono e l’animo più nobile di questa terra”.
Dal punto di vista storico, in quel 1918 si completò il ciclo delle campagne nazionali per l’Unità d’Italia, un lungo cammino durato settant’anni, iniziato nel 1848 con la Prima Guerra d’Indipendenza. Quando a scuola si studia quel periodo storico vengono in mente il Risorgimento con Mazzini e i Carbonari, Giuseppe Verdi, la Rivoluzione Industriale e l’invenzione della ferrovia, l’Unità d’Italia con Garibaldi e i suoi Mille, re Umberto I assassinato dall’anarchico Bresci, il terremoto di Messina, il Titanic, e poi quel terribile conflitto che fu la Prima Guerra Mondiale. Diciamolo: non è un periodo storico che si studia un granchè… Alle elementari non si studia ancora (il programma si ferma al Medioevo), e in terza media se ne studiano episodi sparsi, fluttuanti nei secoli XVIII e XIX come fossero lontana preistoria, invece che episodi della nostra storia recente.
Certo i testimoni ancora vivi di quel 1918 sono sempre più rari, ormai vecchietti centenari, ma sono state pur sempre presenze reali nelle nostre famiglie fino a poco tempo fa.
Ma andatelo a spiegare a un ragazzino di 13 anni…
La legge 54 del 1977 stabilì che la celebrazione dell’Unità Nazionale, istituita nel lontano 1922, avesse luogo la prima domenica di Novembre e che quindi cessasse di essere giorno festivo. Per i ragazzi, il fatto che non sia più giorno di festa, e quindi vacanza scolastica, declassa il 4 novembre a una celebrazione forse doverosa, ma verso cui sono indifferenti. Eppure in ogni paese i monumenti ai caduti riportano elenchi di soldati morti nella Grande Guerra, nomi di nonni e zii che appartenevano alle nostre famiglie e che sono morti nelle trincee. “Quelle trincee, che pure noi avevamo attaccato tante volte inutilmente, avevano poi finito con l’apparirci inanimate, come cose lugubri, inabitate da viventi, rifugio di fantasmi misteriosi e terribili. Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico… Il nemico… Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo i nostri compagni in quella stessa ora. Strana cosa… Un’idea simile non mi era mai venuta alla mente”. Così scrisse Emilio Lusso, in Un anno sull’altipiano, a testimonianza della sua esperienza nella Grande Guerra.
Nel 1921 la salma del Milite Ignoto, a ricordo di tutti i soldati morti, venne tumulata nell’Altare della Patria a Roma, e l’anno successivo il 4 novembre divenne giornata del ricordo di tutti i caduti in guerra. Poi ci fu un’altro terribile conflitto, la Seconda Guerra Mondiale, con il suo enorme carico di morti, feriti, deportati e dispersi. Le famiglie italiane furono nuovamente devastate, e i monumenti ai caduti raddoppiarono.
Oggi il 4 novembre lo Stato Italiano celebra la Giornata delle Forze Armate: dopo la deposizione delle corone all’Altare della Patria, tutti i reparti dell’esercito sfilano a Roma in parata di fronte alle autorità, in una cerimonia che ha perso la malinconia della commemorazione dei militi defunti, e inneggia piuttosto alla prestanza militare dello Stato.
Se vogliamo curiosare tra gli avvenimenti storici, ci accorgiamo che il 4 novembre del 1956 le truppe sovietiche invasero Budapest per schiacciare la Rivoluzione ungherese: migliaia di persone furono uccise, molte altre ferite, e migliaia di persone lasciarono il paese per sempre.
Dieci anni più tardi, il 4 novembre fu la data di una catastrofe italiana: l’alluvione di Firenze del 1966. La città fu sommersa da oltre 4 metri di acqua, e subì danni enormi al patrimonio artistico e alla vita cittadina.
Per controbilanciare gli eventi nefasti, ricordiamo anche che il 4 novembre del 2008 il democratico Barack Obama divenne il primo presidente afroamericano negli Stati Uniti d’America.
“Quest’anno il 4 novembre viene il 7…” mi ha detto un ragazzino a scuola. Sì, il 7 novembre sarà la giornata di ricordo dell’Unità d’Italia, della commemorazione dei soldati morti in tutte le azioni di guerra, e la celebrazione delle Forze Armate. Ogni paese ha il suo programma per domenica 7 novembre, perché nessun paese è stato risparmiato dai fatti della storia. Sarebbe bello che alle celebrazioni partecipassero anche i ragazzi in età scolare, e non solo i soliti vecchi alpini. E’ troppo chiedere agli insegnanti (e ai genitori!) di spiegare ai ragazzi cosa vuol dire la fine di una guerra, l’unità di un paese, la sovranità di una stato e la conquista della libertà civile? E soprattutto ricordare a tutti gli orrori che una guerra porta con sé, e che ne fanno un’azione mai giustificabile.
Di queste case / Non è rimasto che qualche brandello di muro.
Di tanti che mi corrispondevano / Non è rimasto neppure tanto.
Ma nel cuore / Nessuna cosa manca.
E’ il mio cuore / Il paese più straziato.
San Martino del Carso, Giuseppe Ungaretti, 27 agosto 1916
Rileggiamoci Emilio Lussu, rileggiamoci Ungaretti: se i testimoni a poco a poco se ne vanno, rimane la letteratura, a testimonianza della storia.
Silvia Tenderini
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