"Volevo avvisarvi" ci dice la signora Francesca "che è successo praticamente un miracolo… dopo cinque giorni e quattro notti in un buco di quasi due metri di profondità, praticamente sulla cresta del Grignone, Leo è stato tirato fuori da un signore che questa mattina è tornato là con i suoi, di cani. Per la verità lo hanno trovato loro. Sono felicissima, ovviamente. (…)
Vi invio la storia che ci è successa, magari vi fa piacere pubblicarla. È un po’ lunga, non troppo adeguata al web… ma insomma, fatene pure ciò che volete. Se vi piace, o vi sembra utile o piacevole per i lettori, tutta o in parte, è a vostra disposizione".
Sì, cara signora, ci fa piacere pubblicarla. E dopo che l’avranno consultata, anche i nostri lettori capiranno perché.
CHI HA CON SÈ UN CANE, LO SA
Nel novembre del 2004 sono riuscita a convincere mio marito a prendere due cuccioli di Labrador.
Si è presentata l’occasione ad una fiera del cucciolo.
Sì, se qualcuno se ne ricorda, siamo tra quegli incoscienti che hanno comprato i cuccioli alla fiera che si era tenuta quell’anno a Lecco. Fece notizia perchè (a) comprare animali alle fiere è vietatissimo, se non altro per ragioni sanitarie e (b) lo scandalo si scatenò a causa della moria di cuccioli, guarda caso, proprio a causa di virus che si erano diffusi a macchia d’olio. Vabbè, ma questa è un’altra storia, i nostri si sono salvati.
Chi ha con sè un cane, lo sa: se ne vivono tante di storie, come con le persone. E non perchè gli animali vadano per forza umanizzati, ma perchè sono vicende che coinvolgono sentimenti ed emozioni non solo dei bipedi, ma anche dei quadrupedi.
Insomma, siamo partiti così, senza essere minimamente attrezzati per tenere dei cani (almeno abbiamo il giardino, ma mancava tutto il resto, comprese recinzioni adeguate) e con mio marito che fino a quel momento aveva dei cani un blando ma radicato timore.
Nel giro di qualche mese, lui è arrivato ad addormentarsi sul divano con i cuccioli stesi addosso, loro non solo ad eseguire per benino tutti i comandi, ma a farci anche le facce imitando quelle che noi facciamo a loro.
Lui si chiama Galileo, per fare prima, Leo. È un bellissimo maschio dal pelo chiaro, molto affettuoso, ma anche un po’ rimbambito. Insomma non proprio un genio. Lei si chiama Lolita, per fare prima, Lola. È nera, meno slanciata di lui, direi più in stile bauletto, ma è altrettanto tenera e molto intelligente.
Hanno fatto il giro, più volte, di tutte le montagne del circondario lecchese, d’estate e d’inverno. Vederli correre per prendere il bastone e riportarlo insieme, in modalità risciò della riviera, è veramente uno spettacolo. Che diventa meraviglia quando fanno la stessa cosa in acqua: gli piace talmente tanto che il primo che raggiunge il bastone aspetta l’altro, per poter fare un’azzuffatina in acqua e poi tornare a riva in tandem.
Insomma, più dei sei anni con noi sempre, a parte qualche settimana di ferie ogni tanto. Loro due invece, davvero sempre insieme.
Poi succede che sabato, durante l’ennesimo giro sul Grignone con mio marito, appena iniziata la traccia in cresta…Leo scompare. C’è tanta gente, altri cani, sarà più avanti o più indietro per annusare meglio qualcosa…mio marito chiama, come sempre. Fischia, per chiamarli tutti e due a sé, intanto che prosegue con il passo lento di chi ha appena vinto di nuovo il muro del pianto. Lola c’è, Leo no. Arriva al rifugio, ma di Leo, nessuna traccia, nessuno lo ha visto. Torna indietro, chiama…Lola mugola un po, ma non si muove dal suo passo. Scende ai Comolli, nel frattempo un signore, anche lui con due cani, dice che magari è più sotto, lui sta scendendo, se lo trova lo porta alla macchina e lo aspetta lì. Mio marito inizia a preoccuparsi seriamente: chiede a tutti, a quelli che salgono, a quelli che scendono…più che ai Comolli sembra di essere in centro durante lo shopping di Natale. Lascia il suo numero di cellulare, se qualcuno lo trova…mi avvisa. Parto da Lecco per cercare Leo nel tratto di sentiero dal parcheggio al Pialeral, lui invece si fa forza e torna a fare di nuovo il muro del pianto. Il suo cellulare si scarica, il mio è rovente a forza di telefonare in giro: ai rifugi, ai volontari del soccorso, ai vigili, al canile. Ci troviamo al Pialeral dopo un paio d’ore: Lola è al guinzaglio, legata ad una panchina, stesa a terra con il muso tra le zampe.
È stremata. E forse ha capito che Leo non sta tornando, chissà.
Cerco con lo sguardo mio marito, lo trovo e tutti e due ci guardiamo con l’interrogativo del “lo hai trovato?” dipinto in faccia. Affondo la faccia nel suo abbraccio e non posso non piangere. Anche lui ha gli occhi lucidi, ma credo sia troppo stanco per fare qualcosa di più che tenermi stretta.
Oramai si fa sera, torniamo giù. Lui in macchina con un amico, io a piedi con Lola, ancora fischiando e chiamando. Lola ogni tanto si ferma e guaisce. Ma poi mi viene dietro.
Arrivati a casa va da sola nella cuccia dove prima stavano insieme. Sembra enorme, con lei sola dentro. Scodinzola stancamente davanti alla pappa, ma non alza neanche la testa quando le arrivano le carezze. Io e mio marito stiamo sul divano con la tv che scorre immagini che non vediamo. Andiamo a dormire. O per lo meno, andiamo tecnicamente a dormire, ma sostanzialmente stiamo ancora cercando Leo, siamo ancora sul Grignone.
Domenica ci torniamo, io faccio daccapo la stessa via verso il Brioschi, lui dall’altra parte, passando dal Bogani. Lasciamo cartelli ovunque….ma di Leo nessuna traccia, nessuno lo ha visto.
Anche domenica sera in casa c’è quell’aria strana di situazione estranea, ovattata e vuota, come se si stesse vivendo la vita di un altro.
Lunedì pubblichiamo avvisi su Internet, prenotiamo spazi sui giornali locali. Ogni tanto, qualcuno a cui abbiamo appioppato il numero di telefono, chiama per sapere se lo abbiamo trovato. Ogni volta una delusione….pensiamo che ci chiamino per dirci che l’hanno ritrovato e invece no.
Chi ha o ha avuto un cane con sé, sa cosa si sente nel non averlo più. Nel pensarlo da solo al freddo e senza mangiare, magari ferito, da solo con la sua paura.
È ovvio che non è paragonabile alla gravità degli incidenti che possono capitare alle persone, ma un affetto è un affetto, non si può limitarlo, non ha senso giudicarlo.
Arriva anche martedì senza novità. Io inizio a dire che tra qualche tempo, non più di un paio di settimane, dobbiamo pensare a prendere un altro cane, altrimenti Lola resterà sola e continuerà a piangere a suo modo, a sentirsi triste, con quell’aria di abbandono negli occhi che ti strizza il cuore, prosciugandolo.
Martedì se ne va, senza idee su cosa possiamo fare più di così.
Mercoledì. Sono passati quattro giorni e quattro notti. Il pensiero per Leo è fisso, ma il sogno di trovarlo non sa più che storia raccontare perché sia un sogno credibile, almeno un po’.
Io sono a Torino per lavoro, mio marito a Roma, ci ritroveremo a casa la sera.
In tarda mattinata mi squilla di nuovo il telefono, è quel signore con i due cani, che sabato è stato tra i primi a cui Maurizio ha chiesto di Leo, cui ha dato il numero di telefono che non si sa mai.
Penso mi stia chiamando per avere notizie…invece: “Volevo dirle che ho ritrovato il suo cane”. Sono nel bel mezzo di una convention aziendale, tutti riuniti a discutere su robe di lavoro. Mi alzo di scatto e la mia voce sopra le altre chiede “Veramente? Non ci posso credere!”.
Esco dalla stanza dopo essermi resa conto che mi guardano tutti come se avessi urlato “Grasso è bello” ad un gruppo di autocoscienza di obesi.
Lo ha trovato sì! Era caduto in un buco di neve e roccia a circa 100 metri dalla traccia, sotto la cresta. Abbaiava, ma le pareti del buco e la duna che lo separa dalla traccia impedivano ai bipedi di sentirlo. I suoi cani invece, senza più l’andirivieni del fine settimana, finalmente lo hanno sentito e così lo ha trovato.
Aldo, questo il nome di questa persona che adesso è l’eroe del giorno in varie città d’Italia (direi Torino, Roma, Milano…perché le sedi di lavoro mio e di mio marito sono lì e tutti i colleghi sono informati dell’accidente di Leo, e, ovviamente, Lecco), è riuscito a tirarlo fuori. Man mano che ai rifugi arrivava la notizia, mi chiamavano per dirmelo e per chiedermi se avevo bisogno di una mano per riportarlo a casa.
Chi ha con sè un cane, può immaginare come mi senta io ora, in questo mercoledì sera, a scrivere al pc questa storia, avendo ai miei piedi le mie due bestiacce arrotolate quasi una sull’altra. Finalmente, dopo aver passato la giornata con gli occhi sbarrati, anche Leo si è appisolato e russa un po’.
Quello che non è detto sappia chi possiede un cane, è quanto è straordinaria la capacità delle persone delle nostre montagne e delle nostre zone di essere presenti, quando qualcuno ha bisogno di aiuto.
Io sono di Ferrara (chiedo scusa a chi a questo punto si risente perché sopra ho scritto “le nostre montagne”…forse come lecchese sono ancora “in prova”!), sono venuta qui qualche anno fa, dopo aver sposato un lecchese certificato.
Il mio accento scanzonato (anzi, “scansonato”, visto che praticamente non ho la zeta) fa sempre breccia e tutti sempre a chiedermi che ci faccio qui, come ho fatto a lasciare una terra dove le persone sono aperte e disponibili, appassionate e, di solito, di buon umore.
Dicessi che la mia terra non mi manca, mentirei.
Ed è anche vero che qui i comportamenti non sono sempre di apertura verso gli altri e che delle volte non c’è curiosità di conoscere un modo diverso di vedere le cose.
Ma è bastato un cane smarrito, sono bastati i nostri sguardi cupi e impauriti perché intorno a noi si creasse una comunità di sconosciuti preoccupati per le sorti del cane, dispiaciuti del nostro dispiacere. Vicini.
Aldo sarà il nostro eroe per un bel pezzo, lui e la sua emozione quando, sporgendosi verso l’interno del buco, ha visto Leo con due occhi da un metro quadro ciascuno che lo guardavano, che finalmente vedevano qualcuno che poteva aiutarlo.
Ma dei rifugisti del Brioschi, del Bogani, del Pialeral che si son dati la voce, dei gestori dei bar di Ballabio, di Pasturo che hanno messo i nostri cartelli in bella vista, o del signore del Soccorso Alpino (che, ovviamente, non ha potuto far altro che mettere in giro la voce) che mi ha chiamata qualche volta per sapere se Leo era tornato, o ancora di tutte quelle persone che hanno telefonato a mio marito per sapere com’erano andate le ricerche, delle persone di Pubblilecco e di Valsassinanews, che hanno tirato un sospiro di sollievo quando ho chiamato per togliere gli annunci di richiesta di aiuto per Leo…di loro, cosa vogliamo dire?
Di loro, io posso dire che in quanto a passione e a disponibilità, sono messi benissimo ed io sono fortunata ad aver avuto la possibilità di conoscere questo lato dei lecchesi.
E a loro tutti, ad Aldo per primo, noi diciamo: grazie (Leo russa, ringrazia magari tra un po’…).