DIALETTO/PARLE COME TE MÀJET: ”SCÓNT ÓL CÜÜL CH’AL È QUARÈSME”



Il digiuno a quei tempi era rigorosamente osservato e nei giorni c’erano del periodo alcuni cibi erano permessi e altri vietati. Niente uova, carne, burro e latte, solamente un po’ di pane e qualche boccone di polenta. Tra le cose curiose vi era inoltre la tradizione di dare una pacca sul sedere a chi si trovava a portata di mano, dicendogli: "Scónt ól cüül ch’al è quarèsme", che per chi non ha ancora capito starebbe a dire "nascondi il didietro che è quaresima".

In settimana santa l’attività religiosa si intensificava, cominciando con la processione della domenica delle palme continuando in settimana con le processioni dei confratelli in abito bianco con rocchetto rosso e in rigoroso latino.

Giovedì santo c’era la lavanda dei piedi sempre ai confratelli e successiva processione per arrivare alla notte di veglia con l’intonazione di canti lenti in latino e l’accensione di candele.

Nel pomeriggio di venerdì santo venivano distribuiti i sòlt, che erano originariamente "soldi" di pane benedetto, dati soltanto agli iscritti della confraternita e che si sono trasformati nel tempo in una forma di pane chiamato gramolìin dal peso di circa un etto.

Per la distribuzione si chiamavano gli interessati cercando di raggrupparli per famiglie con tanto di appello, iniziando con il cognome, nome e l’immancabile soprannome.

Al mattino di sabato veniva fatta la benedizione delle piaghe, soprattutto ai bambini che avevano macchie sulla faccia. Li si portava alla fontanella sita a la Madóne (la Fontane) e mentre suonavano le campane, venivano bagnati con l’acqua della sorgente.

Per il precetto pasquale si distribuiva ól boletìin da la Pasque, un’immagine sacra riferita alla Pasqua, che i fedeli ricevevano in cambio dell’ööf da la Pasque (le uova di Pasqua) – semplici uova di gallina che successivamente venivano vendute all’incanto.
 

Una preghiera in dialetto premanese: 

Mè racomàndo

Al nòs Segnóor,

a la Madóne

e a l’ Àngel Cüstódio

e a tüc i Sant

ch’ai m’à percüràa

scì bèen stó di,

de fa scì daan stanòc,

mì e tüc i mèe


[Tratto dal Dizionario dialettale etnografico di Premana di Antonio Bellati]

 

 

 

 

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