LUCI E IMMAGINI SUL SOCCORSO ALPINO



Lozza è un operatore della Rai regionale e molti anni fa ha deciso di portare alla luce cosa succede quando scatta la macchina del soccorso in montagna, senza chiose; mettendo a nudo tutta la fatica umana che comporta un intervento ha ripreso momenti veri. Il bello delle sue immagini è che pur essendo del genere ‘cronaca in diretta’ illustrano il vero lavoro giornalistico che documenta, mostra senza cercare di rendere ancora più drammatico ciò che lo è già nei fatti, un vecchio modo di essere reporter, un po’ perso da una televisione spettacolo e che andrebbe assolutamente recuperato.

La serata era alla sala Ticozzi di Lecco, gremita di uomini e donne del Soccorso alpino e di persone ‘salvate’. Pur non essendo a porte chiuse si è trattato comunque di un evento interno al Cnsas lecchese, durante il quale in maniera spontanea si è delineata anche la toria di questo movimento, da quando si trattava più che altro di battute di persone di buona volontà: "Se non erano già morti. li amazzavamo noi- ha scherzato Luigino Airoldi, il conquistatore del Mac Kinley – Usavamo semplici corde e scalette a pioli come le barelle, solo più tardi e molti anni dopo un medico ci ha fornito di fiale di morfina e con quelle per lo meno non facevamo soffrire le persone". Anche di notte e con ogni tempo, come succede ora. "Ricordo un mucchio di volte che mio padre veniva chiamato all’improvviso, prendeva lo zaino e via – spariva a qualsiasi ora" ha ricordato la conduttrice della serata Anna Anghileri, figlia di Gianfranco, uno dei fondatori dei Ragni di Lecco .

Oggi anche grazie all’impegno di molti soprattutto negli anni 80 e 90 il soccorso ha messo a punto tecniche, strumenti e metodi per un soccorso altamente professionale che prevedonoanche l’uso dell’elicottero. Molte le persone, i medici e gli infermieri che si sono spesi come ricercatori nel campo, il più celebre soprattutto per le doti organizzative nel momento della nascita del 118 di Lecco è sicuramente Daniele Chiappa.

Per ‘militare’ nel Soccorso alpino non basta essere abili ad andare in montagna e scalare, è necessario una ottima conoscenza dei movimenti della disposizione delle corde e delle barelle, guai alle funi interecciate perché lì i movimenti non sono automatizzati e lì per lì non si ricordano. E’ necessario perciò essere allenati, sia fisicamente che con continue ed obbligatorie esercitazioni, ha spiegato Fabio Lenti, responsabile tecnico provinciale al suo ultimo mandato come da lui stesso annunciato.

In sala anche un miracolato, Fabrizio Rovida, che sulla cresta Cermenati in Grignetta fu colto da una bufera di neve nel 2008, il suo cuore si fermò per a causa del freddo, arrivò al centro specializzato di Bergamo in ipotermia a 22°. Furono i soccorritori di allora tra cui il veterano Calumer (Giuseppe Orlandi) e la loro determinazione a non darsi per vinti che permisero il miracolo della scienza medica: Grazie a un team di sanitari tra i quali il cardiochirugo ora all’ospedale di Lecco Michele Triggiani, Rovida è vivo e vegeto è tornato in montagna e non ha subito danni celebrali a parte il black out della memoria da un’ora prima dell’incidente al risveglio dal come.

Il mitico dottor Mario Milani, che ha ha coordinato dal punto di vista medico il recupero della speleologa rimasta intrappolata in una grotta a Brescia per 20 ore ha raccontato come il lavoro sia vecchia maniera, senza la possibilità di ausilio di strumentazioni, basato solo su ciò che si vede e sul racconto del paziente se è in grado di parlare, ciò nonostante lo zaino del medico ha materiali per 25 chili non facili da portare o spostare in luoghi impervi.
 

 

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