Gli enti promotori si sono impegnati a costruire una rete attraverso internet per costituire in ogni comune un granaio locale dei beni immateriali delle lingue locali (allestendo on line la raccolta partecipata di vocaboli, proverbi e modi di dire, toponimi, soprannomi, canti, filastrocche, racconti e lavori teatrali e testi poetici, supporti video ed audio). In Valsassina, il dialetto continua ad essere parlato in maniera abbastanza diffuso tra la popolazione; a tale proposito, riproponiamo il parere di uno degli esperti sull’argomento in Valle, il premanese Antonio Bellati intervistato da noi qualche mese fa.
Lo scrittore diceva che "il dialetto è un valore e come tale va mantenuto. Ma non può continuare ad esistere se manca il contesto, lo stile del vivere, il complesso valoriale nel quale il dialetto è nato e cresciuto e si è modificato" conclude Bellati "è una creatura viva, che sa anche adeguarsi alle nuove esigenze (compiüter, fail, clicà, svolatróon – elicottero).
Quando il dialetto non avrà più ragion d’essere per il fatto che non sarà più in grado di tradurre in parola la quotidianità, il dialetto morirà e nessun inghippo riuscirà a tenerlo in vita. In vita invece l’ha tenuto uno dei tanti valsassinesi emigrati all’estero nel secolo passato. Ambrogio, primalunese che ad inizio secolo scorso aveva deciso di trovare fortuna in Uruguay e ha vissuto circa cinquant’anni nel piccolo paese sudamericano.
Col passare degli anni, avendo imparato la lingua locale (spagnolo) e avendo figli che parlavano questa lingua, aveva quasi smesso di parlare sia l’italiano (il poco italiano che era riuscito ad imparare con cinque anni di scuola elementare) e il dialetto.
Soltanto negli incontri domenicali con altri concittadini nel circolo della città rispolverava il suo amato dialetto, ma le occasioni di parlarlo erano ben poche. Nel 1980, quando Ambrogio era ormai alla fine della sua vita in un letto di ospedale, sofferente di una malattia che g li impediva di ragionare e soprattutto di capire il suo stato, incredibilmente ha iniziato a chiacchierare in dialetto. Chi veniva a trovarlo, incontrava un anziano signore che raccontava storie di montagne, nevicate, guerre, fame, prati, castagne, pecore e mucche in un dialetto perfetto…
Nipoti, figli e amici, rimanevano sbalorditi al sentirlo; così Ambrogio ha deciso di lasciare questo mondo, tornando a quella che era stata la sua lingua natale: il dialetto valsassinese.