La cerimonia della consegna delle onorificenze, che è stata presieduta dal Prefetto di Lecco Antonia Bellomo, si è tenuta nella Sala Conferenze del Palazzo del Commercio, in Piazza Garibaldi nel capoluogo – nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della Memoria e in concomitanza della manifestazione che si è tenuta al Quirinale.
Dei 15 cittadini residenti nella Provincia di Lecco, deportati o internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale, solo tre sono ancora in vita – due come detto abitano a Casargo.
Renato Acerboni venne catturato "dopo l’armistizio: eravamo in sei di Casargo e dieci di Premana e siccome io e mio cugino Pietro lavoravamo come tornitori ci mandarono in fabbrica". Acerboni ha raccontato come si sia trattato di “mesi di violenze, il lavoro da tornitore che mi facevano fare avveniva in situazioni complesse, specialmente quando nell’ottobre 1944 i russi e gli americani cominciarono a bombardare, facendo andar via la corrente, ma i capi del lager tedeschi pretendevano che continuassimo a lavorare”.
FOTO A DESTRA/I VALSASSINESI CON IL TERZO REDUCE VIVENTE, L’88ENNE FRANCO SACCHI DI OGGIONO
Rinaldo Beri è intervenuto dopo Acerboni: “Il problema più grosso – ha detto – era la fame- dovevamo arrangiarci rubando il cibo dei dobermann dei tedeschi. Nel lager eravamo quasi 500, alla fine siamo rimasti in poche decine, Sul lavoro dovevamo andare a tempo, e guai a noi se sbagliavamo. Una vita durissima, solo per un caso fortuito, dovuto ai bombardamenti americani sono potuto scampare al forno crematorio, altrimenti ci sarei finito pure io”.
Alla cerimonia ha partecipato anche il sindaco di Casargo, Pina Scarpa. Si trattava dell’onorificenza voluta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per onorare tutti coloro che hanno subito la sopraffazione di una ideologia fondata sull’odio ed il razzismo.
I profili dei due valsassinesi insigniti dell’importante onorificenza (dal sito dell’ANA Lecco):
RENATO ACERBONI | RINALDO BERI |
Alpino del Btg Morbegno, catturato dai tedeschi il giorno dopo l’armistizio, fu portato a Danzica, quindi in Prussia (Kaliningrad).
Essendo un ottimo tornitore, fu scelto per lavorare in una fabbrica locale. 12 ore di lavoro giornaliero con scarso cibo e botte a iosa. Liberato dai sovietici, fu trasferito, dopo otto giorni di cammino sotto una tempesta di neve, in una città bombardata e deserta della Bielorussia, quindi finalmente in Italia, ma dopo ben 30 giorni di treno. Era passato un anno e mezzo dalla cattura. Renato aveva solo 19 anni. |
Fratello del compianto capogruppo dell’ANA di Casargo, Pio Beri, anch’egli del «Morbegno» fu catturato dai nazisti nel giorno del suo ventesimo compleanno. Muratore, fu trasferito nella stessa città di Renato Acerboni e li rimase sino alla liberazione (maggio 1945) da parte degli americani.
Rinaldo ricorda: «Ci facevano posare le traversine della ferrovia. Se non procedevamo in parallelo, fioccavano pesanti punizioni». Dopo la scioglimento, ben tre mesi aspettò il rientro in Patria: mancavano le carrozze ferroviarie. In sintesi la loro era stata definita « l’altra resistenza o resistenza silenziosa» rispetto alla resistenza armata contro il nazifascismo. Solo poche decine di migliaia aderirono alla repubblica di Salò. La loro fu una scelta coraggiosa nonostante il duro lavoro, la fame, il freddo, le malattie, il terrore della morte. È una pagina, ripetiamo, ancora oggi poco conosciuta a livello di opinione pubblica italiana e grazie ai volontari di alcune Associazioni d’Arma se ora sta emergendo dai meandri dei ricordi storici.
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