La storia viaggia su due binari paralleli, che a un certo punto divergono totalmente. In apparenza, l’obiettivo sembra comune: salvare la Grattarola (il posto di lavoro da una parte, il profitto dall’altra); la strategia però si rivela opposta. Anche se per qualche settimana, come per un accordo tacito o forse esplicito, il silenzio sulla vertenza del mobilificio valsassinese è calato sui media.
Fateci caso, per un po’ di tempo non avete avuto notizie a proposito della vicenda; nemmeno su questo giornale che, per competenza geografica e attenzione è il più vicino alla situazione di una realtà produttiva e di tante famiglie del territorio, coinvolte in una situazione a dir poco problematica. Silenzio probabilmente "concordato" (gioco di parole pessimo ma centrato), nel bel mezzo di una contingenza critica, tra banche, giudici, creditori e fornitori, stipendi e tredicesime che non arrivano e quant’altro. Un velo di pudore quasi, come il rispetto per un malato grave, che potrebbe essere disturbato dall’eccesso di rumore intorno a lui.
Ecco, questo è avvenuto per qualche tempo. Comunicazione interrotta, da parte di tutti, attesa spasmodica di qualcosa che doveva succedere – ma che pare non stia accadendo. Nel mezzo, un contatto con la proprietà. Che si fa viva per la prima volta con Valsassinanews, dopo mesi e mesi nei quali il nostro quotidiano si è occupato della vertenza. E il titolare Valsecchi che chiama, e molto educatamente contesta e precisa. Non vuole apparire, anzi, chiede cautela e argomenta, tra l’altro con un aneddoto a dir poco curioso. Dice che una cliente, una privata residente in Campania, avrebbe revocato un ordine relativo ad una cucina dopo aver letto… Valsassinanews. Non siamo stupiti, è normale che cercando un nome in rete (Grattarola nello specifico) si possa arrivare ad un nostro articolo. Il problema è che, sostiene Valsecchi, notizie "preoccupanti" su un’azienda possono portare a conseguenze negative. Fine del primo episodio.
Passa qualche giorno è il silenzio è rotto per la seconda volta. In questo caso, dai lavoratori. Alcuni di loro, esasperati, ci scrivono con l’intento opposto rispetto a quello del loro titolare. Parlatene, del caso Grattarola, ci dicono. Fate sapere come stanno le cose, perché "tenendo visibile il problema forse qualcosa in più si può fare". E citano la vertenza della Leuci, questione certo non risolta ma nella quale forse proprio grazie ai media si è "dato respiro ai dipendenti". Per questo, le maestranze valsassinesi ci invitano a "tenere accesi i riflettori".
Bene, sarà scontato per un giornale "preferire" la seconda richiesta – pur avendo in qualche modo aderito anche alla prima. Noi della Grattarola abbiamo sempre parlato, pure nei momenti più delicati, e sempre continueremo a farlo. E non solo perché è un diritto e soprattutto un dovere di stampa, tv e internet tenere informata la gente. Lo facciamo pure in considerazione della "famosa" signora napoletana. E’ un po’ come la storia del dito e della luna: inutile sperare che in un mondo globalizzato le notizie non circolino; anzi, è bene che questo avvenga, specie se l’informazione è "sana". Qui nessuno, mai (e ci permettiamo in questo di accomunare anche gli altri media) ha "sparato" contro la Grattarola, ha accentuato i toni o esasperato gli animi, pur in presenza di un quadro più che critico. La riprova di un clima comunque pacifico sta nel fatto che a tutt’oggi decine e decine di dipendenti – con alle spalle le loro famiglie, storie personali, mutui e in definitiva vite – stanno lavorando malgrado le enormi difficoltà che risalgono ormai a tre anni di crisi. Nessun articolo recuperato via Google ha piegato la loro volontà di andare avanti, tra mille problemi, attraverso gestioni diverse, con tanti momenti disperati, assemblee e presidi sotto la pioggia, ammortizzatori sociali che assumono nomi diversi ma cambiano poco nel risultato eccetera eccetera…
Ora loro, questi moderni eroi di una società e di un’economia in profonda decadenza, chiedono che i riflettori restino accesi.
Spegnerli oggi non sarebbe solo inopportuno. Sarebbe un’infamia.