Di Paolo Invernizzi colpisce la semplicità, la pacatezza, la pazienza. Conosciuto all’Oratorio di Barzio nelle lunghe estati nel suo impegno a fare giocare i bambini, cordinando gli altri animatori guidato da suor Lidia Bono e da don Lucio Galbiati il parroco della Comunità Pastorale Maria Regina dei monti, la sua decisione di entare in Seminario ha lasciato molti di stucco, tra cui non pochi suoi amici.
Ecco una breve intervista in cui racconta la sua vocazione.
Ti puoi presentare?
Certo! Sono Paolo Invernizzi, ho 21 anni e abito a Barzio. Terminato il Liceo Scientifico G.B. Grassi a Lecco, mi sono iscritto a Chimica e Tecnologia Farmaceutiche (comunemente detta CTF, per semplicità), all’università degli Studi di Milano, che ho frequentato per due anni. Ora ho sospeso gli studi e dal 19 settembre sono qui al Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore (VA). Sono sempre stato molto attivo nella mia parrocchia, soprattutto nei servizi liturgici, al catechismo ed all’oratorio.
Come è maturata la tua vocazione? Ci puoi descrivere la chiamata di Gesù?
La mia vocazione è maturata all’interno di un cammino: il Gruppo Samuele. Tale percorso mi è stato suggerito dalla suora del mio paese e prevede la durata di un anno. Tramite un incontro al mese, quest’ “invenzione” del cardinal Martini fornisce gli strumenti per un buon discernimento della propria vocazione, qualunque essa sia, non necessariamente quella sacerdotale. Trovo che il termine “maturata” sia in questo contesto molto appropriato, essa infatti non è frutto di un evento particolare, ma scaturisce dalla rilettura della propria vita, dal cercare quel filo rosso che unifica la tua persona: il progetto di Dio. Proprio per questo una delle prime richieste del Gruppo Samuele è stata quella di scrivere la biografia personale. Così, con l’aiuto dell’equipe del Gruppo ed in particolare della mia guida spirituale, mi sono interrogato su quale fosse la mia strada. Per la prima volta ho preso in reale considerazione l’idea del sacerdozio, ed ho provato a “starci”. La pace nel cuore che ne è scaturita risulta essere l’intuizione che mi ha portato qui oggi. Questo è un punto molto importante: il cammino del seminario non è la strada per diventare prete, ma è il luogo per discernere se quell’intuizione, sia effettivamente quella che il Signore ha preparato per te. Poi ovviamente ciò passa anche dal capire chi è e cosa fa il prete, ma solo secondariamente, in quanto primariamente vi è il dialogo con Dio e con la Chiesa, intesa come comunità dei fratelli. Non si può infatti rimanere alle intuizioni, ad un certo punto bisogna scegliere e fidarsi, o meglio, affidarsi.
Come hanno preso la decisione di entare in seminario i tuoi famigliari, i tuoi amici e amiche?
I miei familiari hanno preso bene la decisione, con uno stupore positivo, come una sorpresa. Da parte loro sento il massimo sostegno, sanno che non sono il tipo di persona che compie gesti affrettati e non ben soppesati, ma soprattutto rispettano, come hanno sempre fatto, la mia scelta in quanto scelta di libertà. Reazione simile è stata quella della mia comunità: sostegno e preghiera. Moltissimi mi hanno mostrato il loro affetto e hanno voluto dimostrarmi in un modo o nell’altro il bene che mi vogliono, l’approvazione della scelta e la loro vicinanza. Qualcuno inizialmente si sarà stupito, ma poi ripensandoci avrà detto che non è poi così inaspettata o incredibile. Un discorso differente riguarda i miei amici dell’università. A loro la comunicazione della decisione è stata più difficoltosa, non perché la maggior parte di loro fosse atea, ma perché da loro soffrivo maggiormente il distacco. La relazione era piuttosto profonda, ed a parer mio destinata ad intensificarsi. A ciò si aggiunge forse una difficoltà a capire la mia scelta, specialmente alla luce dei miei ottimi risultati universitari, che possono far pensare che io sia “nato per CTF”. Non so se tuttora capiscano la mia scelta, ma di sicuro l’hanno rispettata e accolta, tanto che nella giornata “accompagna un amico in seminario” (in tal caso l’amico ero io), erano presenti anche loro. Mi sono vicini e glie ne sono molto grato.
Oggi fare il sacerdote è molto più difficile che in passato tanto che i preti sono sempre meno e dovranno esercitare il loro magistero in una realtà sempre più atea. Che ne pensi?
Non so se in passato il ministero del sacerdote davvero fosse più facile, la Chiesa è inserita e vive nella storia, dunque si trova in ogni momento a vivere le difficoltà del periodo. Quello che è certo è che l’aspettativa è alta, moltissimi fedeli cercano ancora in questa persona una figura che sappia accogliere, pregare, ascoltare, gioire, condividere e soffrire con loro. Il lavoro è tanto e noi siamo pochi (anche se con me sono entrati altri 25 ragazzi, un dato leggermente in crescita rispetto agli ultimi anni), ma il cammino che si prospetta, mi pare sia molto improntato a puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità. E’ vero che la società sia più atea, ma è altrettanto vero che è l’ambiente in cui siamo cresciuti, quindi, se forse alcuni nostri predecessori non sono stati in grado di rispondere adeguatamente ad alcuni problemi, magari lo saremo noi: questo è lo spirito di rinnovamento e la mia speranza per il mio futuro.
Che suggerimento ti senti di dare a chi vorrebbe intra–prendere la tua strada, a chi si deve rivolgere? Che percorso deve seguire?
Mi sentirei di fare un discorso più ampio, a tutti i giovani in ricerca della propria strada: non abbiate timore di scorgere il vostro futuro dicendo “quando sarà il momento ci penserò”, ma muovete piccoli passi, perché solo nella scelta può esistere la libertà. Chi non imbocca nessun sentiero per paura che sia quello sbagliato non cammina e resta fermo, poi arriveranno i luoghi, i modi e i tempi per capire se sia quello giusto. Come dicevo prima, anche io sono ancora in discernimento!
A chi vuole intraprendere una strada come la mia, consiglio di ricercare (sul sito della diocesi o chiedendo al parroco) un percorso di discernimento o qualche proposta vocazionale. Volendo ci si può anche rivolgere direttamente al Pro-rettore del Seminario per un colloquio. In ogni caso, ci si appoggia a percorsi diocesani che, secondo la mia esperienza, possono contare su educatori molto validi e cammini ben strutturati. La cosa bella è che tutto ciò è sempre nel rispetto della libertà di ognuno.
Che ne pensi della realtà cattolica valsassinese? Quanto ha inciso sulla tua decisione di diventare sacerdote? E la tua esperienza di Oratorio?
Come dicevo precedentemente, la mia vocazione nasce da una rilettura della mia storia, e quindi anche nella sua parte valsassinese. Dunque non posso che trarne un giudizio complessivamente positivo. La Valsassina è una terra ricca di tradizioni, alcune delle quali molto belle. Ciò che bisogna riuscire a fare è reinterpretare e riproporre queste tradizioni non come qualcosa che “si è sempre fatto e si deve continuare”, ma come un qualcosa di senso e arricchente. Una tradizione che è segno senza significato non ha ragione di esistere. Altro punto su cui secondo me si deve insistere è la pastorale giovanile, e lo dico proprio in riferimento alla mia esperienza in oratorio. Esso è stato per me campo di prova del mio carattere e delle mie capacità e trampolino di lancio verso nuovi orizzonti e così vedo che è anche per molti miei compagni di seminario. Se dunque desideriamo una Chiesa vicina e accogliente, non temiamo di spendere il nostro tempo e le nostre energie nell’Oratorio.
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