Ne abbiamo discusso con lo stesso Pirelli, in una ricca e interminabile conversazione tra Valsassina e Patagonia. In questa pagina un ampio e interessante estratto, corredato da una serie di significative immagini – tutte fornite dal protagonista di questa che più che una intervista vera e propria è diventata una sorta di diario.
Stefano, valsassinese o cittadino del mondo?
Come è nato il desiderio di viaggiare?
Entrambe le cose. Tra la Valle e Lecco ci sono cresciuto. Scuole, oratorio, sport, amicizie… Però il destino ha iniziato presto a indicarmi quale dovesse essere la mia strada. I miei genitori amavano viaggiare e spesso hanno portato me e mia sorella Francesca, nove anni meno di me, in vacanza all’estero. A 11 anni ho fatto il mio primo viaggio intercontinentale, accompagnando in Cina mio papà. Poi più avanti tre settimane in Nepal e una alle Maldive, sempre con lui. Non avevo ancora 16 anni. Dopo la maturità decido di prendermi un anno sabbatico e dedicarmi alla passione del momento, l’animazione turistica. Adoravo stare con la gente, fare lo scemo, divertire, intrattenere, ma soprattutto teatro. L’idea era cercare lavoro presso un’agenzia turística piú grande che mi permettesse il salto di qualità per lavorare anche nella stagione invernale. Feci numerosi colloqui e parlai con molte persone, aspettando invano una chiamata o una raccomandazione ma non accadde niente. Arrivai a dicembre rassegnato e senza niente in mano. Non volevo temporeggiare a spese dei miei genitori perciò iniziai a cercare un lavoro. Ma non in valle.
Non in valle, ok. Ma perché in Australia?
Un giorno quasi per magia mia mamma mi parò della figlia di una sua amica di Premana che era in Australia da due mesi, lavorava come cameriera e le piaceva. Non ci misi molto a fare uno più uno e subito cominciai a chiedere altre informazioni su come questa presunta Jessica fosse riuscita ad arrivare dall’altra parte del mondo. La cosa mi esaltava ogni minuto di più, era una svolta, un cambio totale, una nuova esperienza dove buttarsi a capofitto. Ricordo che ciò che mi stuzzicava di più in quel momento non era tanto il lavoro che sarei andato a fare bensì se e come sarei riuscito a cavarmela. I dubbi erano tanti ma la mia determinazione ancora di più, soprattutto per dimostrare chi ero a tutti coloro che mi ripetevano “non durerai due settimane”. Un mese dopo ero a Sydney. E l’avventura durò molto più di due settimane.
Ce ne parlerai presto nel dettaglio. Dopo due anni però torni e ti iscrivi all’università.
L’Australia fu davvero una grande esperienza, e non sono pochi i valsassinesi che potrebbero parlarne. Lavoravo soprattutto nelle fattorie, ma poi non riuscii a star fermo e iniziai a girare tutta l’isola/continente. Fantastico! Tornai a Introbio dopo quasi due anni. In un paio di mesi capii che non era ancora tempo per fermarsi così presi un volo per il Giappone. Tre mesi fallimentari. Non trovavo lavoro né una scuola dove studiare. Comunicare con altre persone si rivelò difficilissimo. Fui ingenuo in questo caso e sottovalutai parecchie cose. Tornai a casa, lavorai un’estate e a settembre mi iscrissi a mediazione linguistica e culturale, con lo studio di quel giapponese che non mi aveva permesso di avere successo in oriente. Sono una persona che se non riesce a fare una cosa, deve provare almeno altri 100 modi per raggiugere l’obbiettivo prima di arrendersi e lasciare perdere.
Penso di aver perso quantità infinite di tempo nel cercare di fare cose che poi alla fine non sono riuscito a portare a termine, che qundi col senno di poi avrei potuto nemmeno iniziare. In tre anni di università non ho comunque smesso di viaggiare e conoscere. Qualche città europea. Un viaggio in auto di un mese fino a Cadiz in Spagna sull’Atlantico ma percorrendo tutta la costa mediterranea. Un altro mese in auto fino a Istanbul.
Dopo la laurea il Canada. La decisione è stata presa con lo stesso spirito che ti portò in Australia?
Il Canada è tutta un’altra storia. Una volta finiti gli studi avevo tutto il tempo e il mondo davanti a me ma mi servivano dei soldi per poter iniziare, ed ecco che quindi il working holiday visa torna di nuovo utile nella mia vita, solo che questa volta dovevo scegliere tra Canada e Nuova Zelanda. Non so cosa mi abbia spinto a scegliere il Canada, forse una consapevolezza non fondata che si potesse guadagnare di piú, o forse il fatto che associavo la cultura neozelandese a quella australiana e io cercavo un qualcosa di nuovo, che poi tanto nuovo non risultò essere. In quei due mesi e mezzo di carte e scartoffie con l’ambasciata canadese, cercai comunque di trovare un’occupazione in Italia, più che altro per constatare quali porte mi apriva un titolo universitario. Fui contattato da una ditta brianzola che mi offri 600 euro mensili per una cinquantina di ore settimanali, seguendo la filosofia aziendale “lavoro,lavoro e lavoro” (me lo dissero per davvero!). Risposi che in Canada anche solo per zappare la terra mi avrebbero pagato di più, rifiutai e non cercai altro. Diciamo quindi che se il viaggio in Australia è nato da un’esigenza lavorativa e dalla voglia di dimostrare a me stesso e agli altri cosa ero in grado di fare, questa volta l’idea era quindi di vivere sì un’altra esperienza all’estero ma allo stesso tempo farmi un regalo di laurea di sei mesi e poi tornare a casa e pensare a qualcosa di nuovo, di stimolante, magari un lavoro particolare o un’idea su cui scommettere. Nel frattempo il 31 dicembre 2011 conobbi ai capannoni di Premana Valentina, cuoca di Bellagio. Non aveva progetti per il futuro ma voleva cambiare, provare a viaggiare. Le proposi quasi per provocazione di venire in Canada con me e sorprendendomi accettò. La partenza per Vancouver era fissata per il 22 marzo, intanto io la aiutai con l’inglese e lei mi diede lezioni di cucina.
E poi cosa ti ha mosso verso il sud del continente? Si è trattato di un viaggio pianificato o di un qualcosa più simile al girovagare?
In Canada dopo un po’ trovammo un buon lavoro in un resort. A settembre, allo scadere del contratto, avevamo messo da parte una somma sufficiente per permetterci di attraversare il paese da ovest a est fino ad Halifax. Ci mettemmo 40 giorni, un periodo eccezionale, ma freddissimo. Fu in quel periodo, viaggiando col nostro van in mezzo al nulla incontrammo un ragazzo che camminava solo e con uno zainetto? ci fermammo e gli demmo un passaggio fino a Thunder Bay, la meta della giornata. Durante il tragitto ci raccontò del rainbow gathering, dicendo che era sicuro che ci sarebbe piaciuto. Il prossimo si sarebbe tenuto a Palenque in Messico per tutto il mese di dicembre. Questo il motivo che ci spinse a raggiungere il centro America, oltre ad una voglia incredibile di caldo e sole. Non avevamo il tempo (e il denaro) per attraversare gli Stati Uniti così decidemmo a malincuore di vendere il van e di prendere il primo volo per Cancùn. Tutto questo successe nella prima settimana di dicembre e il 6 eravamo già sulle spiagge cementificate di Cancùn, in compagnia di due circensi canadesi conosciuti in aeroporto e che avevano la nostra stessa meta. Capimmo subito che sarebbe stato qualcosa di grosso, tra mare cristallino, cerveza, pesce a volontà, sole. Nuova cultura, nuovo paese? un nuovo inizio. Dopo 10 giorni lasciammo quel posto magnifico. Proprio il 21 dicembre passammo vicino alle rovine dove c’era una cerimonia maya, poi ci spostammo sulla costa del pacifico ed è vero ciò che si dice, cioè che l’oceano Pacifico sia tutt’altra emozione rispetto all’Atlantico. Più rilassata la gente non il mare, meno casino, meno infrastrutture, più natura, solo tramonti. Niente da aggiungere, preferisco il Pacifico, sempre. Lo ammetto, dopo due mesi di viaggio e difficile fermarsi. Questo lo scoprimmo soprattutto una volta arrivati in centro America. La sua cultura è così bella e coinvolgente che non te ne vuoi andare perciò cominciammo a spostare la data di rientro sempre più in avanti, inventandoci continuamente mete nuove.
Hai incontrato, visto, percepito qualcosa che ti ricordasse la Valsassina in questi mesi?
Più che la Valsassina ho visto cose e conosciuto persone che mi ricordavano l’Italia. In fin dei conti la base della cultura latina è la nostra, ci assomigliamo? i luoghi del sud del Cile, soprattutto la regione dei laghi o la stessa Patagonia, le montagne, la neve, il freddo, la gente alla mano che ama ritrovarsi e condividere, che si veste a caso perché tanto chi se ne frega, mi ha ricordato la Valsassina. Le feste di paese e i giochi con le carte fanno parte di questa cultura, che vive di agricoltura e allevamento, formaggi e salami, come da noi ma alla loro maniera? forse è per questo che per me è stato più facile decidere fermarmi qui all’estremo sud piuttosto che in altri luoghi.
E da poco hai iniziato a parlarne su facebook. Per quale motivo hai aperto la pagina “I viaggi di Stefano”?
“I viaggi di Stefano” cerca di dare informazioni di viaggio soprattutto sul centro e sud America, sperando di essere d’aiuto o di stimolo a quelle persone che vorrebbero fare un viaggio da queste parti ma ancora sono titubanti o hanno paura. Spero che col tempo possa diventare anche uno spazio in cui le persone confrontino le loro esperienze e i loro viaggi, scambino le loro emozioni e riflessioni, il tutto affinché la gente viaggi di più. Credo che viaggiare sia il modo migliore per spendere i propri risparmi.
Quale è stato il luogo più sorprendente? Ad esempio una località verso la quale non avevi un sincero interesse ma che invece si è rivelata migliore di molti altri?
Dovendo sceglierne uno dico Montezuma, in Costa Rica. Un paesino difficile da raggiungere, formato da due sole strade di una cinquantina di metri l’una. L’ambiente di pace e tranquillità che ci circondava era incredibile, non c’era molto da fare e quindi ci si rilassava e ci si godeva la vita. Ricordo questa immagine di noi sorseggiando un bicchiere di vino sulla spiaggia mentre guardavamo altra gente che al tramonto leggeva libri o chiacchierava. Mi sentivo parte di un cerchia ristretta: eravamo pochi in quel paesino, persone fortunate che avevano potuto godere di quel momento, di quel periodo e di quella pace.
C’è una cosa sola per cui è valsa la pena intraprendere questo viaggio? Qualcosa che magari nei momenti più difficili ti ha spinto a non mollare.
Momenti difficili ce ne sono stati, certo non è sempre stato tutto rose e fiori. Ci sono state tensioni, incomprensioni, la convivenza è difficile. Momenti di paura. Non è semplice avere questo stile di vita, ogni tre giorni cambi posto, vai a vivere in una nuova casa, devi adattarti a chi ti ospita, non hai momenti per te, sei sempre stanco. Penso che a volte si perda la conoscenza di sé stessi, di chi eravamo, perché durante il viaggio sei come una spugna e assorbi molte cose, conoscenze, luoghi, culture, ecc. Si muta in un misto di tutto il vissuto e non sei più l’originale. Non vale la questione del mollare o no, altrimenti si tratterebbe di un dovere mentre per me è un piacere. A me piace viaggiare e conoscere e imparare nuove cose ed è questa passione che mi ha sempre spinto ad andare avanti e ad utilizzare tutte le forze per risolvere i problemi quotidiani, niente di insuperabile. La soddisfazione però del giorno dopo, quando ti svegli e ti accorgi di avere di fronte a te un mondo nuovo e una giornata diversa dalle altre dove farai dozzine di cose inaspettate è il miglior regalo che io possa ricevere. Curiosità: lo sapevate che nei paese del terzo mondo la gente è più felice che nei paesi industrializzati? E questo perché il denaro a molte persone non interessa e non ne sono dipendenti.
A questo punto non vogliamo farti rivelare quali programmi hai per il futuro, però aspettiamo con ansia di conoscere altri tuoi racconti passati e futuri. Magari proprio qui sulle nostre pagine.
Buon viaggio Stefano, un saluto dalla Valsassina!
Arrivederci! Presto o tardi…
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“Viandante, son le tue orme
il sentiero e niente più?
viandante, non esiste il sentiero
il sentiero si fa camminando”
(Cantares… A. Machado)