”AGONIA DI CASARGO”: LA LETTERA APERTA DI UN MILANESE DELUSO DAGLI ULTIMI ANNI



Piccoli negozi, pub, iniziative varie: l’autore della lettera afferma che tutto, a Casargo, è cambiato nell’arco di appena cinque anni. E descrive alcune di queste "sparizioni". Concludendo che "non possiamo far altro che camminare tra le macerie di quello che è rimasto (ben poco) e restare impotenti mentre una cosa così bella a un’ora di macchina da Milano muore". Esagerazione? Amara verità? Una via di mezzo? Il tema è destinato a suscitare un dibattito in paese; ecco dunque il testo integrale della missiva appena giunta alla nostra redazione:

AGONIA DI CASARGO
(Lettera aperta a chi ne fosse interessato.)

Circa cinque anni fa, un caro amico mi invitò ad andare a trovarlo nella sua casa, presa in affitto per la stagione estiva, nell’ameno paese di Casargo in alta Valsassina. Quando arrivai, con grande sorpresa, mi trovai davanti a un piccolo paese di montagna come se ne vedono solo nei documentari di National Geographic. Mi sono chiesto “possibile?”. Sì, era proprio così: gente cordiale, paesaggi bellissimi, grande tranquillità e soprattutto aria buona. All’epoca c’era quello che veniva chiamato “il bottegone “, una sorta di emporio dove trovavi di tutto: dal pane allo zerbino di casa. Oggi, ovviamente, non esiste più. E’ stato sostituito da un Carrefour, ma spostato verso la fine del paese. C’erano anche parecchi negozi di frutta, verdura, fiori. Scomparsi anche loro. Nei mesi di luglio e agosto, nel prato antistante la baita dell’infopoint  arrivava una giostra, il classico calcinculo. Nel pub al centro del paese, con annesso campo bocce, si svolgevano di sera gare di karaoke e si esibivano diversi complessi. C’era il bar sport, centro di ritrovo per un caffè o una cioccolata calda nei mesi invernali. Esisteva anche una zona piscina e diversi campi da tennis. Per non parlare dei numerosi tornei estivi di calcio per i ragazzi. Forse non sarà sfuggito il fatto che tutti i verbi usati in questo racconto sono al passato. La spiegazione è semplice: non esiste più niente. E sono passati solo cinque anni, non cinquanta. A chi attribuire la colpa? Alla crisi economica, spauracchio di tutti e principale capro espiatorio della nostra inefficienza, oppure alle istituzioni locali, ovvero alle persone il cui lavoro consiste nel promuovere qualche cosa di nuovo o solamente a ripristinare o mantenere il vecchio? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi non possiamo far altro che camminare tra le macerie di quello che è rimasto (ben poco) e restare impotenti mentre una cosa così bella a un’ora di macchina da Milano muore.

Un milanese deluso

 

 

 

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