Black out: letteralmente “nero fuori”. E’ successo giovedì sera, pochi secondi per qualcuno, due o tre interminabili minuti per altri: ed è stato, probabilmente, il fatto più singolare della settimana.
Il “nero fuori”, ha spento luci e televisioni, frigoriferi e orologi elettrici, e tutti dopo esserci accertati che non si trattasse di un proprio problema, siamo usciti sui balconi o affacciati alle finestre a cercare gli altri abitanti del pianeta Valsassina che, nel frattempo, stavano a loro volta scrutando il buio chiedendosi il perché.
Già, perché il “nero fuori” ha il potere di destabilizzarci, di costringerci a rispondere a delle domande che solo un attimo prima non avrebbero avuto alcun senso; “prima” era la luce, con il focolare in alta definizione che spargeva i suoi lampi, le strade illuminate, i rumori nei bar. Poi, d’un tratto, tutto si spegne ed accese rimangono solo le stelle ad accompagnare i nostri pensieri.
E se nei primi secondi ha prevalso la razionalità (“cosa stavamo usando in casa?”, “starà arrivando un temporale?”, e così via), man mano che il tempo trascorreva (e preso atto che lavatrice, frigorifero, microonde, bollitore, asciugacapelli e aspirapolvere non erano impegnati in un concerto collettivo) crescevano i dubbi.
Sì, perché il buio, senza scomodare gente che la sa più lunga di chi scrive, ha il potere di metterci in apprensione e di farci scoprire, a volte, un altro buio, il “black in”, letteralmente “buio dentro”, che non c’entra con la corrente ma ci fa sentire molto “umani” e, spesso, indifesi di fronte a fenomeni che non sappiamo spiegarci.
Poi, improvvisamente, il focolare in alta definizione ha fatto “clic” e le immagini hanno ripreso a scorrere rapide, le stelle sono tornate ad essere magiche attrici non protagoniste, le vie si sono illuminate, i discorsi lasciati in sospeso hanno ripreso a scorrere, spazzando via l’inquietudine del “nero fuori”.
E il “black in” che fine avrà fatto, direte voi. Già, è la mia risposta, che fine ha fatto?