CREMENO – “Ehi che bella giornata oggi!” è il saluto del primo ragazzo che ci vede avvicinarci al C.A.R.A. Gli eventi della mattina suggerirebbero il contrario ma dal loro punto di vista aver incontrato la Prefettura è un traguardo.
Nel vialetto esterno e nel parco della colonia c’è assoluta tranquillità Qualcuno ci viene incontro e si presenta, altri sono impegnati a giocare a dama – o qualcosa del genere -, altri ancora riposano all’ombra. Dai finestroni della mensa vediamo cinque ragazzi seguire un canale tv allnews.
> Leggi qui la prima parte: Una passeggiata agli Artigianelli
In verità dopo la tensione della mattina la serenità del pomeriggio ci coglie non poco di sorpresa.
Entrando nell’edificio notiamo due collaboratori del centro che salutano e se ne vanno. Più tardi scopriremo di essere arrivati al momento del cambio del turno. Tra loro probabilmente c’è anche chi questa mattina ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, e, presumibilmente, anche l’unico dipendente che la scorsa notte ha ricoperto il turno di sorveglianza.
Tra i 120 richiedenti asilo ospitati alla colonia degli Artigianelli non fatichiamo a trovare chi voglia spiegare le motivazioni della protesta. Ormai tutti masticano un po’ di italiano, ma per fortuna ci pensano inglese e francese a mettere le pezze.
Siamo qui da tanti mesi – raccontano – vediamo il tempo passare ma i documenti non arrivano. L’unica certezza che ci viene ripetuta è che se la risposta alla domanda d’asilo fosse negativa avremo cinque giorni per lasciare il centro. Senza sapere dove andare e cosa fare. Senza sapere nemmeno dove siamo di preciso. E’ la posizione di molti.
“Non abbiamo un papà o una mamma – chi lo racconta non ha molto più di vent’anni -, se non mi danno i documenti e mi cacciano cosa mi resta da fare?”
Il desiderio di tutti era quindi conoscere il Prefetto per avere risposte che i professionisti del C.A.R.A non possono loro dare. “Prefetto, qui non siamo nulla ma tu sei il nostro papa, allora vieni a farci visita“, la metafora è chiarissima anche se in francese.
Il tema è soprattutto quello: l’incertezza.
Qualcuno parla anche di denaro e la logica tutto sommato è alquanto semplice: ho un 47 di piede, le scarpe più grandi che mi hanno dato sono del 45 e non mi vanno bene. Quindi se io non ho soldi ma tu ne ricevi al posto mio allora devi comprarmele. “Le chiedo da quest’inverno”.
Entrati nella struttura incontriamo gli operatori del centro d’accoglienza e, in fondo al corridoio, in cucina, riconosciamo un’addetta trafficare con i vassoi del cibo precucinato. Il direttore è assente per problemi famigliari e resterà lontano ancora qualche giorno, i dipendenti invece non sono autorizzati a parlare. Quello che possono fare è però raccontarci dello screzio della mattina.
Fanno capire che si è trattato di una dimostrazione simbolica, nessuna rivolta né alcun gesto violento. “Si sono fatti barriera umana per bloccare il cancello, appena sono arrivati i funzionari della prefettura tutto si è risolto“. Nel colloquio, dal quale gli operatori sarebbero stati esclusi, i richiedenti asilo avrebbero strappato la promessa di una visita del Prefetto la prossima settimana.
Non ci è stato concesso scattare foto all’interno dell’edificio. Il grande giardino e il campo da calcio all’interno sono polverosi, come aridi sono i prati all’esterno da dove partono i sentieri per il monte Due Mani. Nel salone della mensa qualcuno fa pulizia, mentre il televisore era stato spento per uscire a parlare con noi.
Alle finestre tante bottiglie di plastica e panni stesi accentuano l’aura di inedia che domina sulla struttura. Solo ogni tanto qualche breve frase pronunciata con un voce più alta ricorda che all’interno vivono 120 ragazzi, letteralmente parcheggiati in attesa di risposte e con un futuro ancora avvolto dal mistero.