Immaginate di trovare, nella cassetta della posta, una busta bianca con scritto il vostro nome, senza mittente, senza francobollo, senza un timbro.
Immaginate di trovarci dentro una foto ingiallita dei vostri cari. E sentire una lacrima cadere sul bianco della busta mentre vi chiedete chi, cosa, come, dove e quando (un caro saluto, sempre gentile signora Ines).
Se avete sui cinquant’anni, poi, provate a salire al Giumello (ma va bene anche l’Orscellera), affacciatevi alla valle, guardate in basso, chiudete gli occhi, cercate un ricordo.
E, con grande sorpresa, troverete nei viali della memoria le fotografie che avete inconsciamente scattato nella vostra vita, mentre eravate proprio lì, o a Paglio, o al Cainallo, o in Albiga, o alla Culmine, magari con la morosa vicina (o il moroso, naturalmente), le stelle sopra, il resto sotto a dormire, quasi buio, con solo pochi lampioni ad illuminare le poche strade che serviva illuminare.
E scoprire che dai cassetti del tempo compaiono e scompaiono le immagini della nostalgia, profumano l’aria, penetrano a fondo negli occhi, li bagnano e poi, per fortuna, li asciugano.
Come eravamo una volta? Come era questa Valle quando eravamo ragazzi, noi che oggi non lo siamo più?
Già perché sembra impossibile che la strada per Parlasco non fosse asfaltata; che poco sotto Tartavalle fremesse di suoni e di vociare confuso; che il Pioverna potesse scorrere libero da ogni argine; che alle sei di mattina iniziasse il concerto dei magli e a nessuno veniva in mente di fermarlo.
Guardo le foto in bianco e nero della Sagra del 1966, la prima; vedo signori in vestito scuro che applaudono i ciclisti, inneggiano a Gimondi, lo scortano verso la vittoria. Sento, si li sento proprio, gli applausi della gente, vengono da lontano, si spengono in una eco che si diffonde libera da ostacoli tra l’altipiano e la valpiana. Oggi contro quali e quante pareti andrebbe a schiantarsi?
Vi siete mai seduti sulla cima della Ventala? Proprio lì dove le capre hanno i loro giacigli notturni, proprio lì, in ginocchio dinanzi a Sua Maestà la Grigna, dove se guardate a destra vedete sino al lago, e se voltate lo sguardo a sinistra arrivate al Resegone?
E avete mai provato ad aprire senza paura gli armadi della memoria? Se avete tempo, adesso che siete in vacanza, fatelo. Adesso che potete guardarvi intorno, riponete nei cassetti i panorami, le occhiate di sole attraverso le nebbie del mattino, i colori della Grigna, i suoni delle poche mandrie al pascolo, il profumo dei vicoli verso il mezzogiorno. E tutto il resto, che scoprirete essere moltissimo.
Ci vuole poco. Basta sapere ascoltare il suono della vita intorno che scorre.
E poi custodite tutto questo gelosamente, perché è tutta roba che potrebbe servirvi, un domani, e non solo per scrivere un pezzo malinconico la prima domenica d’agosto su un giornale on line.
Sapete cosa mi fa paura (oltre a tante altre umane e disumane cose)? Pensare che tra qualche anno i nostri nipoti possano affacciarsi al Giumello (o all’Orscellera), chiudere gli occhi e ricordare, con rimpianto, quel che c’è oggi.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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