Credo che persino i più distratti si siano resi conto che anche quest’anno è iniziata la scuola. Perbacco, direte voi, questo scribacchino viene a ricordarcelo dopo due settimane? Non è che, per caso, sia lui il distratto?
Domande legittime. Sensate. Logiche.
Per cui ricomincio daccapo.
Persino i più distratti penso abbiano sentito dire o letto che quest’anno doveva iniziare la “buona scuola”, una specie di rivoluzione che nel tempo dovrebbe, stando a chi ci comanda, portare alla luce del sole addirittura la parte oscura della luna (doppio “perbacco!”).
Intanto accontentiamoci che sia iniziata la scuola, poi vedremo e giudicheremo se sarà o meno anche “buona”.
Ecco, personalmente avrei preferito che la chiamassero “migliore scuola”, perché dire che solo da qui in avanti (?) la scuola è “buona” significa non riconoscere i molti meriti di chi al suo interno ci lavora, spesso facendo i conti con attrezzature del secolo scorso e/o rischiando la vita insegnando sotto soffitti che crollano anche perché gravati e corrosi dal peso di escrementi di piccione.
Ovviamente, come capita dappertutto, tra i bravi si mimetizzano gli scansafatiche, quei personaggi convinti che la legge sia uguale per tutti, e cioè che siccome fare o non fare a fine mese lo Stato (cioè noi) paga, non abbia senso stare lì a prendersela più di tanto, con tutto ciò che ne consegue a danno di chi sta dietro il banco e non davanti ad una lavagna.
La “migliore scuola”, per farla breve, dovrebbe occuparsi anche di loro, oltre che del resto.
La mia “buona scuola”, quella che ricordo io, era però molto diversa da quella attuale.
Lo ammetto, sono “figlio” delle pluriclassi: primasecondaterza e poi quartaquinta.
Due maestre, una per pluriclasse, non di più, ma a quel tempo chi faceva la maestra e poi andava in pensione manteneva il titolo per sempre e rischiava che le dedicassero una via o una piazza.
Ol Scioor Curaat, ol Scioor Sindech e la Sciora Maestra, questi erano i capisaldi di un paese, riconosciuti da tutti, a volte temuti, sempre rispettati.
Ricordo ovviamente tante cose, ma una in particolare: il pellegrinaggio che ol Scioor Curaat organizzava nel mese di maggio a Lezzeno ed al quale noi scolari non potevamo non partecipare.
Ora mi immagino cosa succederebbe oggi di fronte ad una iniziativa del genere: tralascio gli intervenuti aspetti religiosi e mi dedico a quelli burocratici.
Ol Scioor Curaat avrebbe dovuto fare una domanda alla Sciora Maestra, la quale avrebbe portato la cosa all’attenzione del Signor Direttore, il quale avrebbe convocato il consiglio di istituto che avrebbe provveduto a sua volta a convocare il consiglio di classe.
Una volta superati questi scogli (ma non sono sicuro di averli elencati tutti) si sarebbero dovuti informare i genitori con una lettera che sarebbe dovuta tornare firmata in basso sotto una fila di parole contenute in un riquadro dal titolo “Scarico di responsabilità”.
Dopodiché, si sarebbe passati alla fase organizzativa e chiesti i preventivi per il pullmann.
Il pullmann??? Ma quale pullmann?!
Ol Scioor Curaat e tutta la compagnia cantante e vociante delle elementari a Lezzeno ci andava a piedi, mica in pullmann, altrimenti che razza di pellegrinaggio era? Troppo comodo andare a prendersi l’indulgenza sonnecchiando (mica tanto a dire il vero viste le curve da Taceno a Bellano) su un autobus.
L’indulgenza, cari miei, bisognava guadagnarsela, e allora vai da Cortenova a Parlasco, scendi al Portone, poi arrivi sopra Bellano, sosta alla chiesa di San Rocco prima di salire al Santuario per la Messa.
Poi colazione al sacco e partita al pallone nel prato dietro la chiesa fino al momento il cui ol Scioor Curaat richiamava tutti all’ordine: bisognava tornare a casa, ma con una meta intermedia.
E così, da Lezzeno, in groppa al mai stanco cavallo di San Francesco, tutto il plotone con il suo comandante in testa saliva per aspre “risciolade” sino a Vendrogno, al Collegio Giglio, dove generazioni di valsasnatt sono stati formati alla scuola dei salesiani e di Don Camillo (sì, proprio Don Camillo, di cognome Giordani).
Anche qui, ovviamente, partita al pallone, con una particolarità di non poco conto: il campo era in porfido. Altro che campo sintetico! E allora giù legnate fra i ragazzi pellegrini e i collegiali. Sempre partita vera, c’era in ballo l’onore della scuola e le botte sul porfido sarebbero saltate fuori solo l’indomani, da mostrare come un trofeo.
Finita la partita, e rubato magari il pallone, da Vendrogno si tornava a Taceno e da lì, stanchi morti ma felici e contenti, si rientrava, Scioor Curaat in testa, in paese e alle proprie case, dove i genitori ti aspettavano sicuri che saresti tornato tu, i tuoi compagni di classe e lo stesso Scioor Curaat, anche se non ti avevano stressato per cento volte al cellulare.
Altri tempi, altre persone, altre storie, ed è tempo di concludere.
E concludo.
Vedete, io non so se quella fosse o meno una “buona scuola”.
So soltanto che me la ricordo semplicemente come una “Scuola”, con la “S” maiuscola, come doveva e come dovrebbe essere.
Senza aggettivi.
Non servivano.
Non dovrebbero servire.
Buona domenica.
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