IL DOMENICALE DI R. B./LA SAGRA DELLE SAGRE DEL MONDO



Accompagnato da circa 21 milioni di altri abitanti del pianeta Terra (tra cui numerosi convalligiani), sono stato anch’io a visitare l’Esposizione Universale di Milano, altrimenti detta “Expo”.

Devo dire che l’approccio è stato meno traumatico ed avventuroso del previsto; mi ero mentalmente preparato a sorbirmi code agli ingressi (tanto che avevo con me alcuni generi di conforto che solitamente mi carico sulle spalle quando vado a girare per le nostre montagne) ed invece, in una grigia domenica mattina, sono salpato da Introbio alle 10.30 e gettato l’ancora nel Decumano alle 11.45 (e pilotavo una Idea, non il Millennium Falcon).

Per la verità l’ancora ha fatto fatica a trovare il fondo in un mare di persone che, come uno sterminato banco di pesci, seguiva la propria stessa corrente voltandosi ora a destra, ora a sinistra, piegando verso questo o quel padiglione per sincerarsi delle ore di coda previste ed attaccate a pali della luce e sostegni di vario genere.

Perciò anch’io mi sono fatto un po’ aringa e un po’ merluzzo e mi sono lasciato trasportare dal branco nel banco, sulle spalle i generi di conforto, negli occhi una moltitudine di razze che cercavano di trovare spazi liberi da occupare: un’impresa non da poco, ma che tutti si ricorderanno.

Alla Esposizione Universale, però, si va con uno scopo ben preciso, e cioè visitare i padiglioni delle varie nazioni per vedere come hanno interpretato il tema portante che, come tutti abbiamo imparato a memoria è “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”.

Ho imparato presto due cose molto semplici.

La prima: la maggior parte delle persone che è andata a visitare Expo con lo scopo di vedere i padiglioni delle altre nazioni ha dovuto fare i conti, il giorno dopo, con un gran mal di schiena originato dalla posizione eretta e ferma in piedi per ore a trascinarsi all’interno di code monumentali (strano popolo: magari ci incazziamo per un quarto d’ora di fila all’ASL e poi non diciamo niente e ce ne stiamo zitti e quieti ad aspettare sette ore per visitare l’ologramma del Giappone!).

La seconda: lo slogan “Nutrire il Pianeta” forse sarà efficace in prospettiva. Nel frattempo, vista la quantità di punti di ristoro che ho visto, è stato ben sviluppato il tema del “Nutrire il Visitatore”, peraltro a costi da sceicchi, e non solo in prossimità del padiglione di Abu Dhabi.

EXPO (2)Dopo essermi nutrito ho visitato, per motivi domestici, il padiglione della Slovacchia e poi mi sono messo in coda per vedere quello del Cile. Ma perché proprio il Cile? Forse perché lì davanti stava suonando e ballando un gruppo folcloristico dell’Isola di Pasqua composto dai musicanti, da un paio di ballerine così così e da due energumeni palestrati, ipertatuati e vestiti in un costume locale che sarà stato di Pasqua ma richiamava poco la Quaresima.

Oddio, vestiti è una parola grossa: in effetti l’unico pezzo di stoffa che avevano addosso era un minuscolo tanga e così quando giravano le spalle al pubblico lo spettacolo richiedeva l’accompagnamento per i bambini e la prontezza di spirito di distrarre le morose e richiamarle alla (magari triste) realtà.

Dopo i suoni, i canti e le danze, sul palco sono salite due signore (sempre dell’Isola di Pasqua, ma vestite di tutto punto) che hanno spiegato alcune ricette tradizionali di quei luoghi. Insomma, una “prova del cuoco” dell’altro mondo con le banane a farla da padrone. Interessante, ma non ricordo nulla, per cui la prossima Pasqua ancora cucina tradizionale lombarda.

Ho gironzolato qua e là fra i paesi del Centroamerica, dell’Africa più povera e desertica. Sono entrato anche in quello della Corea del Nord e, con un certo stupore, non ho visto neppure una immagine del loro presidente padrone ma solo un paio di gentili hostess che indossavano splendidi costumi.

EXPO (3)E poi, finalmente, lasciata ogni speranza di entrare a guardare da vicino l’Italia, mi sono ritrovato al cospetto dell’Albero della Vita, il totem attorno al quale questa Esposizione Universale ha ballato e battuto i propri tamburi per sei mesi.

E lì ho cominciato a pensare.

A pensare che eravamo davvero in tanti e che forse nessuno se lo aspettava; che c’era chi lo snobbava e chi diceva che sarebbe stato un flop; che si sarebbe fatta una pessima figura di fronte al mondo intero; insomma le solite cose che la gente dello Stivale, un po’ perché intrinsecamente provinciale, un po’ perché indotta al pessimismo da tutto il marcio che la circonda, è portata a pensare.

Invece, davanti al più moderno dei feticci, ho ringraziato chi mi ha permesso di vedere, una volta nella vita, un evento così straordinario che tutti noi terremo ben impresso nella memoria per sempre.

Finita la girandola di colori e cessate le spumeggianti colonne d’acqua, mi sono girato per tornare a casa tuffandomi in un oceano di gente, più aringa che merluzzo: non mi sono più voltato, proprio come si fa quando si vuole portar via un ricordo e fissare nella mente un’immagine che ci resterà per sempre.

Quando, a tarda sera, con la mia Idea Millennium Falcon sono passato vicino alla Fornace, ho pensato che, in fondo, quello che avevo visto era la Sagra delle Sagre del Mondo. Ed io, con il sorriso nel cuore, avevo avuto la fortuna di esserci stato.
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Buona domenica.

BENEDETTI TESTINA
Riccardo
Benedetti   .

 

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