INTROBIO – Un anno non facile, il 1931. Decimo della dittatura fascista, che abbiamo dimenticato, e per un ordine di Stalin fu distrutta la cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca. Intanto, nel silenzio nebbioso della bovisa milanese veniva al mondo Cesare Luraghi.
Chi avrebbe mai pensato alla luce sacerdotale che avrebbe invaso, grazie al suo spirito, la nostra bella Valsassina? Non è questo il ricordo dei titoli né degli anniversari. Don Cesare si ricorda per due caratteristiche; il sorriso che gli invadeva il volto, e gli occhi si rimpicciolivano per lasciare spazio alla gioia. E poi le mani. Grandi, per impugnare la sua parrocchia con tutti i guai e le sofferenze, le difficoltà, i lutti, che ha aiutato a superare. Sosteneva chiunque amasse servire, associazioni, la sua amata corale, il mondo del volontariato, gli alpini. E proprio nella celebrazione liturgica questo aspetto non è mancato, nel riferimento di Cristo quando disse ai Suoi “Non è forse più importante colui che siede a tavola del servitore? Eppure sono venuto in mezzo a voi a servire”.
C’è posto anche per lui nella raccolta dei piccoli Grandi uomini ma non per il silenzio. No. Perché oggi don Cesare ha ricevuto con tanto rispetto e devozione, canti, armonie, parole, forse poche, ma giuste, come quelle di don Marco Mauri e del sindaco Airoldi.
La volontà che lo portava sul lungo sentiero di Biandino a celebrare Dio sui prati, con la sua gente, è la stessa che lo ha sostenuto fino agli ultimi faticosi passi. Era una volontà venuta del Padre, al quale giovane, decise di dedicare una vita. Il generoso parroco entusiasta del suo paese e di quella Valsassina ancora legata alla storia popolare, è stato celebrato oggi, nella “sua” parrocchiale di Sant’Antonio Abate, adorna di foglie d’autunno danzanti e di tanti volti che oggi hanno fermato la routine per il loro fratello, la loro guida, il loro Cesare.
Un prete è sempre in prestito nella sua destinazione, ma don Cesare rimarrà per gli introbiesi e per tutta la Valle il parroco destinato a lasciare uno tra i maggiori ricordi, così come quello di Padre Felice Tantardini. “Semplicità, obbedienza, spirito di sacrificio, devozione alla Madonna” le caratteristiche di Padre Felice secondo don Cesare, e oggi anche quelle per cui la comunità piange il suo amato parroco e lo saluta con i canti sostenuti fino all’ultimo nella processione che lo ha portato quasi per mano nella dimora eterna.
Si vede poche volte tanta compostezza, ordine e rispetto. Oggi Introbio ha dato dimostrazione di essere un paese, come ha ricordato il sindaco, fortemente unito e costruito su profondi ideali di fede. Anche i più piccoli alunni hanno abbracciato per primi il saluto a don Cesare, così sereni e fiduciosi, vicini a lui fino all’ingresso al Cimitero e davanti a tutto il paese durante la processione. Perché in loro e con loro crescerà Introbio e nelle loro parole siamo certi, ci sarà sempre il ricordo di don Cesare.
Nessuna parola è più adatta di quelle dell’ultima strofa del canto intonato dalla corale all’inizio della celebrazione: “Io sono in loro e tu in me; che siam perfetti nell’unità; e il mondo creda che tu mi hai mandato; li hai amati, come ami me!”. (E’ giunta l’ora – L. Scaglianti)
Michele Casadio