Mi è difficile, oggi, ricordare i bei momenti, accompagnati dalle sue esclamazioni “bello”, “perfetto”, ma anche i momenti di confronto, franco e schietto come può essere tra montanari cresciuti sulle stesse montagne (lui a Bobbio ed io ai Piani di Artavaggio), sempre conclusi con l’incitazione a fare, ad andare avanti: “dai”, mi diceva e me lo scriveva anche nei messaggi. Quel “dai” era il segnale di qualcosa di importante, di un’esigenza da soddisfare, non solo per sé, ma per il rifugio, per la sua famiglia.
Non mi consola il fatto di aver conosciuto la sintesi di quello che dovrebbe essere un rifugista: ospite attento con i clienti, conoscitore dei luoghi, custode non solo del proprio rifugio, ma della montagna stessa in cui viveva, esempio, per molti inavvicinabile, per i suoi colleghi.
Il rifugio Lecco rappresenta una meta di per sé, per molti un luogo privilegiato, non certo per la posizione, ma per l’atmosfera creata da Andrea e dalla sua famiglia, trascinando anche i collaboratori. Non mi consola aver conosciuto una persona in sintonia, vera, non sbandierata, con l’ambiente, la professione, la famiglia. Il vuoto lasciato da quello che ancora sognava, e che certamente avrebbe realizzato, è immensamente più grande di quanto ci ha trasmesso con la sua vita. Un vuoto che solo la Misericordia, nel senso originario di amore viscerale, potrà piano piano riempire.
L’attenzione, l’affetto, l’impegno a prendersi cura è rivolto a chi resta. Ad Eugenia, Michela, Davide e al papà Piero, a loro cerchiamo di guardare, un pochino, come li vedeva Andrea. Stiamo loro vicini, non con commiserazione o compassione, ma con amicizia e comprensione.
Alberto Pirovano
Responsabile rifugi del CAI Lecco