Prima di pensare al motivo per cui saliamo, siamo già saliti.
Poi ci chiedono il perché e troviamo mille risposte a quella domanda.
(Reinhold Messner)
La nostalgia è una brutta bestia, come certe montagne che sembrano messe lì apposta per farsi dominare, blocchi di granito e ghiaccio capaci di attirarti nella loro trappola infernale.
Prima con la testa, poi con il cuore, infine con non so che cosa. E non riesco nemmeno ad immaginarlo.
Bisognerebbe domandarlo a loro, a quelli che le salgono e le vincono, o ritornano sconfitti, però ritornano e possono raccontarlo, assistono a tragedie, incontrano sui loro passi corpi che riposano in eterno nel loro vestito bianco in un camposanto a ottomila metri.
Sì, la nostalgia è proprio una brutta bestia, Himalaya, Valsassina o una donna fa poca differenza.
La differenza la fanno gli orizzonti, i compagni di viaggio, il fiato che manca, la testa che si perde con l’assottigliarsi dell’aria, i movimenti comandati dall’arte pura della sopravvivenza.
Cologno Monzese, dicembre 1993
Mike Bongiorno è sempre scintillante, e pensiamo di capire alla svelta il motivo.
Prima di ogni puntata la sua assistente gli passa un beverone. Cosa sia nessuno lo sa: qualcuno scherza sulla Grappa Bocchino, ma grappa non è, perché Mike è lucidissimo e non barcolla quando saluta i concorrenti di “Tutti per uno”.
C’è molta Valsassina davanti e dietro le telecamere; ci sono il Flavio, il Giuliano e l’Angelo; poi il Tita, il Rino, il Tarcisio e lui, l’uomo della provvidenza, colui che ha intrecciato i fili e dischiuso a tutti gli altri la porta della televisione.
Lui è il Lino, maestro di sci di Mike ma, soprattutto, uno che sembra abbia conosciuto da molto vicino un altro uomo amato e famoso: veniva da Wadowice, gli amici lo chiamavano Lolek, scriveva poesie, faceva il prete, e poi un’altra Provvidenza lo mise a comandare tutta la Chiesa con il preciso compito di abbattere muri, far spalancare le porte a Cristo e diventare santo subito.
Eccoli, sono lì, applausi, domande che vanno e risposte che vengono; Mike strizza l’occhio, si capisce che quella compagnia gli piace, è una squadra che sta cercando di vincere per andare nientemeno che sull’Everest.
Che è una brutta bestia di montagna, per cui cerchiamo almeno di spianargli un po’ la strada, di salita ne dovranno fare abbastanza poi.
Pubblicità o, se preferite, reclame.
Lino fa provare a Mike un paio di scarponi da sci nuovi; Flavio gli offre l’oro della Valsassina, in pratica gli regala taleggi e stracchini; il pubblico capisce che c’è del tenero, ma non fa niente se i sognatori per una volta vincono con l’aiuto dell’arbitro.
A dire la verità la vittoria è sudata e meritata, l’arbitro non si lascia corrompere anche se è evidente da che parte pende.
Lo vedono e lo capiscono anche gli avversari che comprendono la situazione e non si lamentano.
In palio ci sono 8.848 metri, roba grossa per gente in gamba, mica una passeggiata per narcisi in Agueglio.
E vincono. Centoventicinquemilioni di lire. Fine della trasmissione e record del gioco.
L’Everest sarà anche 8.848 metri, ma per il momento loro stanno volando più in alto.
Poi si vedrà.
Valsassina, maggio 1994
Il Chomolungma, la Madre dell’Universo, è ancora là. Immenso, ammaliatore, strega che frastorna e poi ti consuma, ghiaccio che risplende, roccia che impaurisce.
Aria che tira gelida, sole che spacca le labbra, freddo che punge e congela, tempeste che si inseguono, piccole tende che cercano di resistere alla furia del Dio del Cielo, bandiere lung ta che sventolano le loro preghiere, formiche a forma di uomo che portano i cuori aldilà di dove possono le braccia.
Il Flavio, il Giuliano, l’Angelo, il Tita, il Lino, il Rino e il Tarcisio sono tornati.
Erano a un passo, decine di metri, là dove la definizione di metro non è precisamente quella che troviamo sul dizionario e la sua lunghezza non è quella che ci insegnano in prima elementare.
Un metro a ottomila e passa metri può essere la differenza tra l’essere e il non essere, tra un biglietto di sola andata e uno che comprende anche il ritorno; un metro, là dove il cielo sembra poterti cadere addosso, è un concetto astratto che può durare un minuto o un’ora, oppure un giorno interno, oppure una vita, e fine dei sogni e delle terre promesse.
Erano a un passo, forse due, ma sono tornati.
A un certo punto cuore e ragione hanno iniziato la loro aspra guerra nel disordine dell’alta quota.
Mettere le punte degli scarponi verso l’alto o verso il basso?
Oppure sedersi lì ed aspettare che la montagna decida per te?
Gli uomini della Valsassina Expedition scelsero di ringraziare il Chomolungma per la sua accondiscendenza e preferirono non approfittarne oltre.
Altri loro colleghi non ne sono stati capaci.
E adesso dormono vestiti di bianco in camposanti sparsi tra i ghiacci.
Valsassina, primavera 2015 o giù di lì
Chiamo Flavio allo Shambalà. Oppure mi chiama lui. Non mi ricordo. Non ha importanza.
A un certo punto mi dice che ha in mente un progetto e capisco subito di cosa si tratta, soprattutto perché sullo sfondo sento la Lella che alza la voce.
Mi sembra di capire che non sia molto d’accordo.
Valsassina, 27 aprile 2016
Il Flavio riparte.
Venti e passa anni dopo, si rimette sulla strada per l’Himalaya.
Il piano iniziale è andato a farsi benedire: niente Kamet, gli indiani lo hanno chiuso per “ragioni di sicurezza”, non è che da quelle parti qualcuno pensa di avere un conto aperto con gli italiani?
Ormai, però, le valigie sono pronte, i biglietti comprati, i soci d’avventura (Mario, Guido, Filippo, Matteo e Pierenzo) abili e arruolati e la nostalgia – quella brutta bestia – urla sempre più forte.
La nuova montagna si chiama Trisul 1. Ci sono anche il 2 e il 3: insieme fanno un tridente che, guarda un po’, è l’arma di Shiva.
Non aspetto il raduno di Esino e approfitto di wikipedia per imparare che in sanscrito Šiva significa “propizio”, “favorevole”, “benefico”.
Quindi speriamo bene, e facciamo il tifo sicuri di avere dalla nostra parte anche il fantasma di Mike Bongiorno.
Già, perché il Flavio, non so quanto inconsciamente, ha trovato il modo per onorare la memoria del bravo presentatore, visto che mercoledì le spedizioni da presentare saranno due (stia tranquillo il Kamet: sarà preso d’assalto nel 2017).
Insomma, di fronte alla possibilità di un “lascia” dal Giumello si è risposto con un “raddoppia”.
In perfetto “Valsassina style” e alla faccia delle brutte bestie.
Buona domenica (e allegria!).
Riccardo
Benedetti
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P.S.: un ricordo particolare per Giuliano De Marchi e per il mio coscritto Angelo Fazzini che seguiranno la Valsassina Expedition da un posto privilegiato, più in alto di qualsiasi Madre dell’Universo.
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