BARZIO – È una platea ancora sconcertata dalle prime notizie provenienti dalla Baviera quella che ieri sera ha accolto con un applauso caloroso e liberatorio il comandante Alfa del Gis dei carabinieri. Invitato dalla Anc barziese il plurimedagliato “volto” dei reparti speciali dell’Arma ha presentato a Palazzo Manzoni “Cuore di rondine” il libro che, giunto ormai al termine della carriera, racconta la vita segreta di uno tra i fondatori del Gruppo d’intervento speciale dei carabinieri.
Non è quello che si dice un fine oratore il Mefisto dei corpi d’élite, ma nelle sue parole c’è tutta la saggezza di una vita dedita al sacrificio per un bene superiore. Definisce il terrorismo dei lupi solitari una “guerra psicologica” ma assicura che “ci prepariamo da anni a ogni evenienza, non posso certo parlare di rischio zero ma sappiate bene che mai come in questi anni tutte le forze di polizia hanno finalmente iniziato a collaborare e a fare davvero squadra. Il popolo non deve abbandonare le abitudini, andate al cinema, uscite di casa. Solo così possiamo vincere”.
All’alba della pensione e dopo 40 anni in un reparto speciale il comandate Alfa esterna a Barzio anche alcune sue considerazioni: “I problemi per l’Italia inizieranno davvero nel caso in cui si decidesse di voler chiudere le frontiere. Il nemico è già in occidente, è nato qui e anche per questo è più difficile da controllare. Il nostro paese sta però lavorando duramente e le espulsioni e gli arresti lo dimostrano”.
Un volto quello delle teste di cuoio identificato appunto nel Mefisto nero, il passamontagna col quale il comandante è apparso anche in Altopiano: “Non è una mancanza di rispetto verso il pubblico – esordisce subito l’ex parà – anzi è un esempio per i miei ragazzi in servizio a cui il regolamento impone di proteggere l’identità, così continuo a fare io ora che giro l’Italia raccontando chi siamo e presentando il libro il cui ricavato andrà agli orfani dei carabinieri”. Parlando del libro il comandante rivela che “non ho mai avuto un buon rapporto coi miei figli, sono mancato spesso nella loro vita. Leggendo questo libro mi hanno chiesto scusa“.
Nella testimonianza del militare c’è tanta attenzione alle generazioni future. “Sono nato in Sicilia, a Castelvetrano, nella patria del super ricercato Messina Denaro, questo per dire che la mia terra non sforna solo mafiosi. I miei genitori mi hanno educato alla giustizia, alla lealtà e alla democrazia; a 17 anni sono partito con le valige di cartone per fare qualcosa di buono per il mio paese ed oggi sono qui a parlare dopo aver creato un reparto speciale di uomini che scelgono di dedicare la propria vita agli italiani. Il mio messaggio è per i giovani: non esistono obbiettivi irraggiungibili“.
Lui e la sua squadra erano lì nel 1980 quando i detenuti del carcere di Trani in rivolta presero in ostaggio dieci agenti della polizia carceraria, furono sempre gli uomini del Gis a scalare il campanile di Venezia nel 1997, e a liberare nel 1990 la piccola Patrizia Tacchella, rapita a soli 8 anni. Ed è questa l’operazione che il comandante Alfa ammette di averlo più colpito. La più difficile invece fu la liberazione di Cesare Casella, l’unica in cui il Gis fu costretto a sparare.
“Noi siamo addestrati a tutto e conviviamo con la paura, ma non ci sentiamo Dio, non disponiamo della vita delle persone ed il successo pieno nelle nostre missioni è raggiunto solo quando non ci sono morti. È anche vero che quando interviene il Gis si è arrivati ormai a una situazione di rischio altissimo e non possiamo permetterci alcun risultato se non vincere”.
Non può mancare quindi un rimpianto, la perdita di Enzo Fragosi nell’attentato a Nassirya. Anche lui tra i fondatori del Gis, in Iraq non è morto in missione ma rientrando a casa: “Non abbiamo potuto guardarci le spalle, e di lui non è rimasto nemmeno un pezzetto”.
C.C.