BARZIO – La musica nella sua forma più alta. L’organo nella sua massima espressione, che diviene davvero qualcosa che risuona come un’orchestra, per diventare, a tratti, uno strumento solo, che è bello ascoltare, quasi sommesso, e che poi, d’improvviso, riecheggia nuovamente, con forza, nell’aria, portando la sua armonia.
Difficile definire, a parole, l’esperienza che si può vivere ascoltando un concerto di un interprete musicale come Ben van Oosten. Un’esperienza sensoriale che avvolge, trascina, che fa vivere mille emozioni, e che, nello stesso tempo, riporta qui, nel momento presente. La musica, lo sappiamo può superare spazio e tempo, e legare tutto in un unico elemento sonoro. Un suono che trasporta, che può avviluppare, e che poi ci lascia di nuovo, ancora per quello che siamo in quel momento. Ma non più come prima: il suono, entrando in noi, ci ha trasformati, ci ha reso diversi, più ricettivi, con qualcosa di più.
Il concerto del 6 agosto a Barzio è giunto al termine di una Masterclass sulla Musica Organistica Francese. Ben Van Oosten è un’istituzione, in questo campo. Grazie a lui, la Musica Organistica Francese ha potuto avere il lustro e il risalto che merita. Non che prima fosse sconosciuta, ma sicuramente sono esecutori di questo calibro che la fanno conoscere ad un pubblico più ampio, attraverso concerti, studi, conferenze, registrazioni e altro ancora. E attraverso un lavoro sui brani che va oltre il semplice studio, anche accurato, per divenire vero contatto con quello che l’autore voleva dirci attraverso le sue esecuzioni musicali. Diviene davvero cercare, attraverso il suono, di riportare all’atto creativo, a quell’istante magico che ha dato l’ispirazione all’opera. Diviene “entrare” nell’autore, comprenderne le tematiche, l’espressione, per non suonare solo un brano, ma tutto quel mondo di emozioni che l’ha caratterizzato.
In questi giorni, Ben van Oosten ha messo a disposizione di chi l’ha seguito tutto questo. Guidando letteralmente gli allievi alla scoperta di un patrimonio musicale, e portandoli ad esecuzioni dove la precisione formale conduceva poi alla libertà, al “sentire” davvero la musica, al viverla in profondità, per quello che di meraviglioso ci sa donare.
Il concerto del 6 agosto è stato l’espressione di tutto questo. Tutto quello che Ben van Oosten è ha potuto prendere forma. Le note sono divenute, in un certo senso, “vive”, hanno davvero “viaggiato” verso chi le ha ascoltate con la giusta apertura verso la conoscenza. Hanno parlato oltre qualsiasi espressione linguistica. Dicendoci molte cose, e parlandoci oltre le parole stesse.
Forse è per questo che, cosa insolita, Daniele Invernizzi, direttore artistico della Rassegna organistica, nonché organizzatore della Masterclass, stavolta non ha detto nulla all’inizio del Concerto (ha parlato invece al termine). Dopo poche parole da parte di don Lucio, parroco di Barzio, si è lasciato parlare la Musica.
Ben Van Oosten è uno dei massimi esperti mondiali di Musica Organistica Francese: ci si chiedeva come avrebbe eseguito brani di altre Scuole Musicali.
La risposta è giunta repentina, con un programma che ha permesso un viaggio nello spazio e nel tempo. Un viaggio dove abbiamo toccato diverse nazioni, diverse culture, diverse espressioni musicali. Per poi ritrovarci ancora al punto di partenza, ma non per una circolarità, bensì per una ciclicità, dove tutto è come prima ma profondamente trasformato.
Si apre nell’epoca attuale. In Olanda, la sua terra. Con Hayo Boerema, organista olandese (classe 1972) di Rotterdam. Un contatto con un mondo musicale che, per alcuni, potrebbe essere “spazzante” ma che, tuttavia, al di là delle armonie ardite, talvolta dissonanti, e di un apparente dissolvimento della struttura musicale, riportava sempre a qualcosa di noto, di solido. Una suite che, attraverso vari momenti, chiude con una brillante “Toccata” che riporta a qualcosa di definito.
Poi, un salto ad est, verso la Germania di Johann Sebastian Bach, e indietro nel tempo, di quasi 300 anni. Una nota aria, dalla Cantata BWV 208, ci trasporta in un’atmosfera diversa, in diverse sensazioni. Eppure, tutto è lì, nell’Universo Musicale, dove, come in un’ipotetica relazione, tutto converge.
Poi, ancora Bach, con la monumentale Fantasia e Fuga in sol minore BWV 542. Un’esecuzione che ha messo in evidenza, in modo chiaro, le sonorità del grande autore, grazie al modo con cui Van Oosten ha saputo usare i registri, senza mai eccedere in suoni troppo forti, ma con delle particolarità, che hanno fatto sì che il suono rimanesse sempre “pieno”, laddove, in altre esecuzioni, questo non viene evidenziato.
In questo brano, come nei precedenti, è stato bello apprezzare appieno l’uso che Van Oosten fa della pedaliera. Sembra che non la tocchi nemmeno: appare volare sopra le sue note. Eppure il suono si sente, e si sente meglio, proprio perché questa leggerezza consente all’aria di fluire nel momento giusto, e in quantità adeguata. Fornendo quindi il suono migliore. E tutto questo non può non essere evidente. La Fantasia e Fuga appare un flusso di note, che raggiunge l’apogeo nel finale, con il sonoro e luminoso accordo di sol maggiore, che la chiude.
Poi si resta in Germania, con Mendellsohn e le sue “Variation Serieuses in re minore Op 54”. Un’opera scritta originalmente per pianoforte, che lo stesso Van Oosten ha contribuito a trascrivere per porgano. Qui, all’organo, se ne è apprezzata la sonorità, la capacità di “giocare” tra il grand’organo e l’organo espressivo (organo eco), con sonorità che al pianoforte sarebbero impossibili. Un brano sicuramente complesso, ma che è stato bello ascoltare, nelle sue alternanze di espressioni musicali.
Poi, rotta verso la Francia. La Francia la cui musica è tanto cara a Van Oosten. Quella Francia musicale che fa il suo ingresso con un autore particolare come Alexandre Boëly. Autore vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, Boëly è stato un autore noto per scrivere musica “seriosa”, forse austera, nelle sue forme più classiche. E qui, infatti, vengono presentati due Preludi al Corale, dai titoli tedeschi. La loro forma è sicuramente la classica del Preludio Corale, con qualche elemento armonico in più , che li proietta verso il divenire musicale.
Un divenire che si tocca con mano nei due brani successivi, che hanno chiuso il programma, e che ci hanno portato verso il 900.
Si comincia con Gabriel Pierné, un autore vissuto tra il 1800 e il 1900, del quale viene presentata una “Cantilene” (Cantilena) dai “Troi Pieces Op 29”. Noto soprattutto come direttore d’orchestra, Pierné compose numerosi brani, anche organistici. Questo “Cantabile”, quasi in contrasto con gli altri due brani dell’Opera 29, porta in atmosfere quasi soffuse, anche se dalle sonorità piene ed intense, che Van Oosten riesce a rendere al meglio, seppur non con l’organo più adatto a questo repertorio.
Il programma si conclude con la Sonata numero 1 in re minore op 42 di Alexandre Guilmant. Un brano complesso, che cambia carattere in diversi mementi, come nell’Allegro iniziale, inframezzato da un episodio centrale più lento. Sino all’ultimo tempo, che porta verso una luminosa conclusione, ricca di suono.
Il programma ufficiale è terminato, ma Van Oosten ci regala altri due brani, entrambi di Charles Marie Widor, forse il caposcuola della Scuola francese post romantica, che ebbe allievi come Louis Vierne. Il primo dei due bis è stata la “Toccata” che conclude la Sinfonia numero 5. Un brano sonoro, che ben si addice ad una conclusione: come un’onda di musica che si propaga nell’aria, donando armonia.
Il secondo, una gradevole “Marche Américane”, che conclude la racconta dei “12 Feuillets D’Album Op 31” per pianoforte. Un brano, quindi, pianistico, qui trascritto per organo. Il suo sapore è proprio “a stelle e strisce”, e metaforicamente ci fa varcare l’Oceano. Una sorta di modo per dirci che, grazie alla musica, si può essere ovunque, in ogni istante. È come se, attraverso l’espressione musicale, potessimo forse scoprire che tutto è già dentro di noi, e dobbiamo solo divenirne consapevoli.
Van Oosten ha insegnato il rigore espressivo, che non contrasta con la libertà, ma permette alla libertà di esprimersi al meglio, proprio perché, in tal modo, sa che strada prendere, che percorsi seguire, e li può seguire al meglio.
Sergio Ragaini