BARZIO/SUEGLIO – Il Barocco Organistico alla fine ritorna sempre lì. Quella grandiosa tradizione, che ha portato l’Organo ai massimi livelli di espressione, è sempre sullo sfondo, ed è da guida anche in composizioni che ne appaiono lontane. Quella precisione e assieme libertà che convergono, quella capacità di sovrapporre melodie e strutture, è guida per tutte le epoche della Musica.
Tre concerti, tre organi, tre repertori. Ma un’unica, grande, passione musicale, che nel barocco ha le sue radici. Tutto, nella musica come nella vita, può protrarsi al cielo se le sue radici sono solidamente piantate nel terreno. E qui, il terreno è quella Tradizione che, sicuramente, ha fatto grande la Musica.
Tre organi, due dei quali quasi “gemelli”: quello di Maggio e quello di Barzio, costruiti da quei Mascioni che hanno contribuito a portare nel mondo una grande arte organistica. Il terzo, un organo diverso, ma dalle sonorità piene ed intense, che sono riflesse nella grande Chiesa di Sueglio.
Tre programmi differenti, che hanno segnato, in qualche modo, il passo della Musica. Dove, come dicevo, la partenza è stata, di fatto, barocca.
“Inizia”, se così si può dire, Andrea Chezzi, il 17 agosto, sull’Organo Mascioni di Maggio, quell’Organo che, sino ad alcuni decenni fa, era nella Chiesa di Barzio, ora sostituito da un “fratello maggiore” più imponente. Un concerto dedicato interamente ad Haendel, e, precisamente, alle sue trascrizioni, effettuate da autori inglesi della stessa epoca (o di poco postumi). Haendel, tedesco di origine, è di fatto musicista inglese di adozione. Contemporaneo di Bach, ha però uno stile diverso, dove, a detta di alcuni, alla severità e cerebralità tipica del grande compositore di Eisenach si è sostituita una più marcata spontaneità. Che non vuol dire povertà espressiva, ma forse un’idea di musica diversa, che qualcuno ha definito, all’inglese “just for fun” (solo per divertimento). Un divertimento, tuttavia, che non indica banalità, ma capacità di dare alla musica quel carattere “gioioso” che la rende speciale. Senza però rinunciare a quella precisione formale che la rende pregevole.
Qui l’Organo di Maggio, con le sue due tastiere di Grand’Organo e di Organo Positivo ha permesso di evidenziare al meglio quel contrasto tra “tutti” e”soli” tipico del Concerto Grosso Barocco. La prima suite, “Water Music”, ci porta in un clima gioioso, con uno stile che ricorda la Francia. Dove l’Inghilterra, però, è ricordata nel finale movimento di “Hornpipe”. Qui, l’espressione dell’orchestra ha preso forma attraverso l’alternanza delle tastiere, l’utilizzo dei registri, ed un’esecuzione sicuramente pregevole. Poi si “passa” in Italia, ricordando Corelli, con cui Haendel aveva studiato. Il Concerto op 3 numero 1, nell’ultimo movimento, riecheggia il penultimo tempo del Concerto Op 6 numero 8, appunto di Corelli, scritto per la Notte di Natale. Si passa poi all’aria “Lascia ch’io pianga”, dal “Rinaldo”, dove si apprezza l’uso del registro di Voce Umana, per poi terminare con l’Ouverture dall’Oratorio”Esther”, dove le sonorità orchestrali sono pienamente messe in risalto. Un fuori programma, che ci porta a Baldassare Galuppi, italiano ma che ha vissuto 11 mesi a Londra, conoscendo lo stesso Haendel. Forse un modo per concludere dicendo che la Musica sa davvero superare i confini.
Due giorni dopo, il 19 agosto, eccoci a Barzio, sul monumentale Organo Mascioni che, dal 1978, diffonde la sua musica nella Chiesa di Sant’Alessandro. Qui, il Barocco è partenza e fondamento del Concerto, tenuto dall’organista Ivan Ronda. Partendo da Bach, l’excursus proposto dall’esecutore ci ha condotto in autori nei quali il Barocco è sempre presente, nello stile come nello spirito. Con armonie nuove, diverse, a tratti sorprendenti e trascinanti.
Johann Sebastian Bach è la partenza. Due Preludi e Fughe, quello in Do Maggiore BWV 541 e quello in Mi Minore BWV 548, “intervallati”, se così si può dire, da un Preludio Corale. La passione, da parte di Ivan Ronda, per l’autore è apparsa chiaramente in questi brani, dove i vari episodi sono stati delineati in maniera precisa, attraverso l’uso dei registri e dei tre “organi” lì combinati (Positivo, Grand’Organo e Eco), capaci di diffondere, nell’aria della Chiesa, sonorità che l’esecutore ha saputo rendere notevoli con la sua abilità tecnica e con la sua capacità di combinare i suoni in modo da evidenziare al meglio le caratteristiche di questo organo, dando a Bach il suo giusto risalto. Poi Mozart. Luminosità, limpidezza, pulizia, ma anche intensità espressiva. Tutto questo appare nell’esecuzione dell’”Adagio et Rondò KV 617. Dove, ad un adagio più meditativo, si affianca un rondò luminoso, qui reso nella sua più bella espressione. Poi, spazio all’epoca attuale, con composizioni che hanno continuato a “far vivere” il Barocco, con qualcosa di nuovo e diverso. Si parte dalla “Suite Barocca” di Enrico Pasini. Una serie di brani che riecheggiano le “Danze” tipiche delle suite dell’epoca barocca. Direi anche nelle sonorità, che solo in alcuni tratti, ad esempio nella “giga” finale, aprono a nuove armonie. In alcuni casi il brano sembrava “veramente” barocco, se non per l’uso di suoni come quello della Cassa Espressiva, che lo proiettano, almeno parzialmente, verso il Romanticismo. Nella “Corrente”, qualche eco di Musica Francese, forse qualche vago richiamo a Widor. Rimanendo, però, in un impianto sicuramente Barocco. Il programma si chiude con Hans-Andrè Stamm, musicista tedesco contemporaneo. Qui viene presentata una “Rapsodia Latina” a tratti sorprendente. Nel brano, infatti, gli echi barocchi si fondono a quelli delle danze dell’America Latina, in particolare il Tango, che viene trattato in una sorta di trascinante fugato. Un brano di esecuzione davvero impegnativa, che ha saputo regalarci grandi emozioni musicali.
Ma non è finita: la musica, davvero, può sempre rivelare sorprese inaspettate e meravigliose. E qui, la meraviglia non può non esserci: viene infatti presentata la “Rapsodia in Blu” di George Gershwin, nella trascrizione organistica dello stesso Ivan Ronda. Qui si apprezzano le nuove combinazioni elettroniche di registri dell’Organo, e tutte le sue sonorità. Come ricordato da Daniele Invernizzi, Direttore Artistico della Rassegna, nel brano si sono effettuati 50 cambi di registri. La trascrizione di Ivan Ronda ha mantenuto inalterata la suggestività del pezzo, aggiungendo quel tocco in più che l’Organo sa donare, soprattutto quando suonato a questi livelli.
Sueglio, un piccolo paese della Valvarrone. Vi si giunge con una strada per alcuni tortuosa. Poi si entra nella Chiesa, e si può rimanere a bocca aperta, per la sua imponenza, direi in contrasto con il piccolo paese. Una chiesa molto bella, con un organo dalle sonorità luminose, costruito dall’organaro Cesare Bernasconi nel 1900. Un duo affiatato, noto nella zona del Lecchese, e non solo, anche per la capacità e voglia, da parte dei suoi componenti, di diffondere la Musica Organistica, facendone conoscere la bellezza. Massimo Borassi e Marco Dell’Oro ci hanno regalato, il 20 agosto (dopo solo un giorno dal precedente concerto) una serata che ci ha condotti in un piacevole viaggio Musicale. Qui l’epoca è diversa, e parte già dal Classicismo, ma il Barocco è ancora lì, con le sue forme musicali, in particolare la Fuga, che tornano, seppur con modalità rinnovate.
Partenza con Johann Georg Albrechtsberger, musicista austriaco che ebbe, tra i suoi allievi, lo stesso Beethoven. Il “Preludio e Fuga in Do Maggiore” proposto evidenzia una forma barocca, che nella fuga diviene scorrevole e melodica, colorandosi con colori nuovi, che aprono ad altre epoche musicali. Poi spazio a Mozart, dove alla bella “Sonata in Re Maggiore”, dalle sonorità limpide e luminose, viene affiancata una “Fuga in Sol Minore”. Qui, la capacità contrappuntistica di Mozart si rivela appieno. Cosa ben nota, ad esempio, a chi conosce il “Mozart Vocale”, in opere come lo stesso Requiem, ma anche come il “Davide Penitente” e il “Misericordias Domini”, dove la polifonia viene portata ai massimi livelli. E anche in questa fuga la polifonia appare nella sua forma più bella, con apertura di tipo melodico. Si chiude con l’Opera, eseguita su un Organo che, come lo stesso Daniele Invernizzi ha ricordato, è un po’ di “confine” tra quello ottocenteschi, decisamente più “operistici”, e quelli del novecento, dove è prevalente un’impronta “liturgica” in senso meno “altisonante”. Proposti Rossini (Ouverture da “La Gazza Ladra”), Griegg (Il Mattino dall’Opera “Peer Gynt”), e una fantasia su temi operistici di Verdi. Alcuni di questi brani erano per pianoforte a 4 mani, adattati all’Organo dagli stessi esecutori. Brani che hanno saputo mettere in evidenza la sonorità dell’Organo di Sueglio. Una sonorità dolce e forte nello stesso tempo, che ha preso forma in motivi noti, che comunque è stato bello risentire, nel loro essere comunque musicalmente coinvolgenti.
Un duo “Sine Nomine”, almeno “di nome”, che ha saputo dare sicuramente risalto alla musica, dimostrando che, davvero, spazio e tempo nella Musica non esistono, e tutto si ricollega, e sempre ritorna, incessantemente, in armonia.
Concludiamo, metaforicamente, con la vista del Lago, dal sagrato della Chiesa di Sueglio, dopo un gioioso momento conviviale e qualche goccia di pioggia. Una vista che fa spaziare, e che di per sé è musicale: è impossibile non percepire la bellissima “Musica del Lago”. Qui è bello “far viaggiare” il suono, che diventa suono dentro di noi. E che, sicuramente, questi bellissimi momenti musicali hanno permesso di far riecheggiare nella sua forma più bella.
Sergio Ragaini