IL DOMENICALE DI R.B./… IL TEMPO A TASSO ZERO…



“Ieri non è più, domani non è ancora. Non abbiamo che il giorno d’oggi. Cominciamo.”

(Anjezë Gonxhe Bojaxhiu – Canonizzata oggi 4 settembre 2016 come Santa Madre Teresa di Calcutta)

E’ complicato: me ne sto accorgendo mentre sono davanti al bianco del foglio che vorrei riempire ma faccio fatica. Forse è complicato più del solito, perché è settembre, direte voi.

Già, proprio così. E’ settembre. Ci siamo finiti dentro ancora, ed era inevitabile. Come i ricordi che vanno e vengono, i fuochi d’artificio che si spengono, gli aerei che partono, le navi che salpano e le automobili che sfrecciano su autostrade fumanti.

domenicale 4 set 2016 3Ricordi che sgorgano da sorgenti inaspettate, ruscelli di memoria che diventano torrenti e poi fiumi, vagano nel nostro universo lanciando bagliori e nutrendo speranze, come evanescenti stelle cadenti di mezzagosto.

E’ davvero complicato metterli in fila, catalogarli, assegnare a ciascuno di loro una priorità: non so per voi, per me è così. E’ il tempo che passa, incontenibile, sempre più vigliacco.

Comincia un giorno e ti accorgi che stai guardando il tramonto; si accendono le stelle e fuori sta già albeggiando; sei appena partito e ti ritrovi, stupito, sulla strada del ritorno; hai appena chiuso una porta e la stai riaprendo con la quotidianità del sempre che ti ricade addosso, là dove l’avevi lasciata, là dove, immutata e implacabile, ti stava aspettando pronta a riprendersi il tuo tempo.

E rivedi la tua gente.

Ecco, la gente.

Ho visto i centomila e più volti della Sagra, noti e sconosciuti, curiosato tra i loro sguardi, visto costruire ponti fatti di braccia e mani che si stringono. Poi l’aeroporto, una folla multicolore in attesa di essere trasportata da un cielo all’altro, biglietto in mano, valigia nell’altra, il sorriso di chi ha chiuso una porta, parole che scorrono immaginando quella che dovranno aprire tra poco.

Ho sentito lingue di mezzo mondo discutere tra loro; austriaci, francesi, ungheresi, cechi, slovacchi, polacchi, sloveni, tedeschi, inglesi, arabi, belgi, olandesi, spagnoli, russi, ucraini, svedesi, e chissà quanti altri mondi ho sfiorato e mi si sono seduti accanto senza che me ne accorgessi.

Ho attraversato Paesi interi guardandomi attorno con il solito stupore, apprezzando il lavoro dei giardinieri austriaci, lasciandomi affascinare dalle nebbie che avvolgono nel mistero gli Alti Tatra, cercando impossibili montagne nell’inquietante e infinita pianura ungherese, cedendo alle lusinghe dei luccichii delle onde di un mare.

E intorno a me, sempre, ovunque, la gente.

domenicale 4 set 2016 2Ed io, sempre, ovunque, in mezzo, trascinato, goccia d’acqua di ruscello, e poi torrente, e poi fiume, e poi mare, tutti insieme sull’autostrada del tempo, non importa il colore dei capelli, non importa la lingua o quando riaprirai il portone che hai chiuso.

Nel mio “sempre” (non so nel vostro) faccio fatica a darmi il tempo. Ma, fuori dalla porta, lontano, immerso nel contrario del quotidiano, cerco di prendermene tutto quello che posso.

Se dicessi che ci riesco sempre vi racconterei una balla grossa quasi come i trecentomila della Sagra, ma forse a causa dell’età (anzi, sicuramente a causa dell’età) ho imparato, quando riesco, ad assaporare ogni singolo momento, ogni istante, consapevole della sua unicità, per custodirlo il più possibile nello spazzacà del cervello; un po’ come faccio ogni sera quando esco sul balcone di casa a Introbio a guardare l’aereo delle 23.30 che sfiora lo Zucco di Cam.

O quando sono là, sulla Ventala, a guardare in basso il cuore della “mia” Valle che pulsa.

Ora, converrete con me che cercare di rubare tempo al tempo è un esercizio di una inutilità (e forse stupidità) incredibile, ma è a tasso zero per ci si può provare senza paura per vedere (di nascosto) l’effetto che fa.

Bene, finita la poesia adesso vi svelo da dove nasce tutta questa riflessione settembrina sul tempo che passa, sui momenti da non perdere, sul furto di tempo al suo legittimo proprietario, sulla gente, sul guardarsi intorno e via di questo passo.

E, soprattutto, su come stiamo perdendo il nostro tempo. Gita in mare. Una trentina di persone imbarcate. C’è di tutto un po’ e, pur consapevole di non essere sulla Ventala, osservo.

Il piccolo naviglio (che per nostra fortuna sa navigare, eccome) ha un ponte superiore con un paio di tavoli in legno. Sulle due panche attorno ad uno di questi tavoli, mentre fuori la riva e il mare danno spettacolo, è seduta una famigliola così composta: papà, mamma, figlia adolescente, figlio quasi adolescente, figlio che tra qualche anno sarà adolescente.

Tutti belli, tutti biondi, tutti tedeschi o giù di lì, almeno dall’aspetto. Dalla lingua non posso capirlo, non parla nessuno.

Madre e figli maschi, però, sorridono.

Madre e figli maschi hanno in mano una serie completa di Samsung: stanno sorridendo per qualcosa che c’è lì dentro, ognuno per i fatti suoi. La figlia più grande, per fortuna penso, sta leggendo un libro. Poi, improvvisamente, lo smartphone manda un segnale subsonico che si trasforma rapidamente in una potentissima esca.

La figlia più grande abbocca all’amo elettronico, accende lo schermo e inizia a sorridere. Anche lei.

Il libro, aiutato dalla brezza, decide incazzato di chiudersi, e pace amen.

Sono in quattro, adesso, a farsi gli affari propri. Non una parola, non uno sguardo, non un’occhiata alle onde che si rincorrono, al cielo blu cobalto o a me che ho dimenticato di non essere solo e penso che forse è meno difficile di quel che sembra essere contenti, basta avere un Samsung.

Che, peraltro, ho. E nel quale, confesso, spesso mi immergo.

Poi, mentre fuori il sole illumina il mondo dei vivi, osservo il padre dormire con la testa appoggiata al suo Samsung; scommetto con me stesso che probabilmente sta sognando di essere su una barca, con il mare e le rive che danno spettacolo, le onde che si rincorrono, il cielo blu cobalto e la sua famiglia che sorride felice di essere insieme a gustare ogni singolo momento di una bellissima e appassionante vacanza.

Da deficienti.

Buona domenica.

BENEDETTI TESTINARiccardo
Benedetti

 

 

 

 

 

 

 

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