MONTAGNE LARIANE, MALGHE E ALPEGGI SONO “VIVI”: LE STORIE DI DAVIDE E ROBERTA



MARGNO – Nel Lecchese e nel Comasco l’alpeggio è “vivo” e i giovani lo accompagnano verso il futuro con una notevole ‘spinta generazionale’. E così, la montagna lariana riparte proprio da una tradizione che consolida nei secoli le proprie radici: quella dell’alpeggio. E non solo sul territorio: negli ultimi dieci anni – spiega Coldiretti su dati regionali – le malghe utilizzate per il bestiame sono aumentate del 46% passando dalle 609 del 2006 alle 890 del 2015 con oltre 36mila capi bovini portati sui pascoli in altura contro i 22mila del passato.

“Si tratta di un buon segnale – spiegano Fortunato Trezzi e Raffaello Betti, presidente e direttore della Coldiretti interprovinciale – che fa ben sperare circa il futuro non solo di tante produzioni tipiche ma dello stesso ambiente considerato il ruolo di salvaguardia e tutela che gli agricoltori svolgono in zone disagiate come quelle di montagna”.
Le malghe del settentrione lombardo sono collocate a quote che partono dai 966 metri della zona del Lario Intelvese ai 2.463 metri dell’alta Valtellina. La salita in alpeggio di solito inizia i primi di giugno per il rientro intorno alla metà di ottobre.

L’età media è sotto i 45 anni, ma ci sono alpeggiatori anche molto più giovani. Davide Gobbi, 38 anni, di Margno, lavora sull’Alpe Pian Delle Betulle, e a prendere l’aria buona dei monti lombardi porta anche i maialini: “Ricordo ancora quando le nonne salivano all’alpe, oltre alle capre avevano un paio di mucche a testa. Fu la mia mamma ad ingrandire l’attività, oggi sono io a salire in alpeggio con una cinquantina di capre, una ventina di mucche e vitelli e anche due otre maiali”. Un lavoro, ma anche una passione coltivata fin da bambino: “Avevo 12 anni quando salii in alpeggio la prima volta. Ora mi avvicino ai 40 e sono già 15 anni che ‘carico’ da solo greggi e mandrie sull’alpe. Le difficoltà? Certo che ci sono: si trascorrono qui 120 giorni l’anno, molti lontano dalla famiglia: i miei figli, ad esempio, mi raggiungono solo quando la scuola è finita. Bisogna conoscere la natura, i suoi ritmi e i suoi tempi, senza fare azzardi: soprattutto, occorre fare massima attenzione ai temporali, che per le bestie possono essere molto pericolosi. La vita in alpeggio – conclude Davide – non è cambiata moltissimo negli anni: certo, sono arrivate alcune migliorie come il sistema dei recinti mobili. Ma soprattutto è rimasta la tradizione di produrre i formaggi tipici, come il semigrasso che facciamo quassù. Formaggi con pochi ingredienti come una volta: latte, caglio e sale. Oltre a tanta passione”.

Roberta Tenderini ha 22 anni e segue la malga Ariale, a 1.330 metri di altitudine, nel Comasco: “Hanno iniziato i miei genitori nel 1997. Dopo la scomparsa di mia madre, l’attività è passata a me nel 2012. All’epoca studiavo ancora da perito meccanico. Ho sistemato alcune strutture e sono riuscita a riprendere la monticazione delle vacche da latte, nel 2015 ho aperto l’agriturismo e quest’anno ho aggiunto anche le capre. Produciamo burro e formaggi”.

Una vita dura, ma sulla lavagnetta davanti alla sua baita Roberta ha scritto: “La ricchezza più grande che possediamo, quando alla mattina apriamo gli occhi, è il giorno che abbiamo davanti”.

 

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