Dal giorno in cui arriviamo sul pianeta
e, sbattendo le palpebre, camminiamo verso la luce
C’è da vedere più
di quanto si sia mai potuto vedere,
da fare più di quanto si sia mai potuto fare
(The circle of life – Elton John/Tim Rice – 1994)
La scorsa settimana ho scoperto un bel posto, poco lontano dai nostri bellissimi, si chiama lo Stallazzo, ed è in sostanza una specie di rifugio.
Anzi, a pensarci bene, è proprio un rifugio: solo che anziché essere immerso nell’aria fina della montagna, è circondato da un Fiume e, soprattutto, dalla Storia.
Non so perché, ma stando lì e vedendo altro che poi vi racconterò, la mente è corsa a rivangare una vicenda che un amico mi raccontò molto tempo fa a proposito di un suo amico.
Dopo, ovviamente, ho messo insieme i fili.
Ma prima la storia, che non ho alcun motivo di pensare possa essere leggenda.
L’amico dell’amico conosce una ragazza, filano assieme per un po’ e decidono di sposarsi e così fanno. Le cose vanno bene per qualche anno, poi succede che il rapporto comincia a fare acqua e le onde della vita si rivelano troppo forti da sopportare.
Con poca gloria il matrimonio viene dichiarato fallito, i due si separano, poi divorziano e via ognuno per la propria strada.
Passa qualche tempo e l’amico dell’amico conosce un’altra persona: memore dell’esperienza precedente cerca di costruire una barca più solida che sappia tenere nel mare in tempesta e aggirare gli scogli più vigliacchi.
Finché, convinti entrambi di essere pronti, la nuova coppia prende la decisione di bussare di nuovo alle porte del matrimonio.
Ci sono dei documenti da preparare e quindi tutti e due si danno da fare; quelli dell’amico dell’amico tardano stranamente ad arrivare e, un bel giorno, si capisce il perché.
Per farla breve: chi doveva a suo tempo scrivere su un certo libro che si era sposato, ha scritto che era deceduto, sì, morto, avete capito bene (e mi sembra di averlo anche scritto chiaro e forte).
Ora si potrà anche scherzare sul binomio matrimonio-morte, oppure immaginare (essendo passato all’aldilà) di aver versato ingiustamente una caterva di tasse allo Stato, oppure ancora fantasticare sull’essere stato una specie di fantasma circolante in carne ed ossa.
Già, si potrebbe scherzare, ma non è stato uno scherzo, anche se poi tutto si è sistemato, l’amico dell’amico ha potuto sposarsi ed ancora oggi la sua barca sembra reggere alle perturbazioni della vita.
L’amico dell’amico, insomma, è tra i pochi, pochissimi, quasi nessuno, che può ben dire di aver vissuto due volte; ogni tanto ne parla ancora con un mezzo sorriso sulle labbra, solo mezzo perché, alla fine, la sua vita, come quella di tutti noi, è unica, e non è certo la penna di un impiegato sbadato a poterla prolungare.
Lo Stallazzo di Porto d’Adda, tornando alla prima o alla seconda riga di questo domenicale di metà settembre, mi ha ricordato questa parabola. Sì, perché anche quel posto c’era, poi non c’era più, e adesso è rinato a nuova luce, a un nuovo futuro.
L’amico (non c’entra nulla quello di prima) Luigi Gasparini e la sua Cooperativa Solleva lo hanno letteralmente “risollevato” (và che coincidenza!) da una sorte triste e indegna per quello che era il punto di cambio quadrupedi all’epoca del trasporto merci su fiume.
Uno snodo importante, fondamentale per chi doveva raggiungere la Bassa; oggi un punto fermo per chi percorre la ciclabile del lungo Adda.
Ma non è solo questo. No, perché sopra lo Stallazzo c’è un bel Santuario che forse in molti di voi conoscono già: quello dedicato alla Madonna della Rocchetta, abitato secoli fa dagli Agostiniani ed oggi amorevolmente curato da un signore che ho avuto il piacere di incontrare ma, soprattutto, di sentir parlare in un modo capace di trasmetterti un’emozione ed un entusiasmo incredibili, prima ancora del suo immenso sapere su vita, morte e miracoli di quel posto quasi magico.
Si chiama Fiorenzo Mandelli e se qui tra i posti bellissimi lo conoscono probabilmente in pochi, laggiù, tra i canali progettati da Leonardo e il grande fiume che Pietro Pensa e Angelo Sala hanno celebrato magnificamente con una spettacolare trilogia, è ben noto e apprezzato.
Quindi, due vite lo Stallazzo, due vite il Santuario.
Ma, perbacco!, scopro che non c’è due senza tre. Proprio davanti al Santuario, alcuni anni fa, sono venuti alla luce resti di un insediamento romano ed è ben visibile una cisterna riportata ai nostri distratti occhi contemporanei dalle oscurità di un passato sotterraneo.
Anche in questo troviamo il cuore e le braccia del Signor Fiorenzo, e invito tutti ad andare a trovare lui e gli animatori dello Stallazzo dove (mi scusi il direttore se faccio un po’ di reclame) tra l’altro si mangia buono e bio (vero).
Quindi, due vite lo Stallazzo, due vite il Santuario, due vite la cisterna.
A questo punto dovrei mettere a posto i fili, ma in questo mi ha aiutato molto la Madonna della Rocchetta.
Mi chiedevo il motivo di questo “della Rocchetta” e sulle prime ho pensato che il perché fosse da cercare in una “piccola rocca”, vista anche la posizione dove si trova, ma il Signor Fiorenzo mi ha subito stoppato in questa ipotesi da assoluto incompetente.
La “rocchetta” della Madonna, infatti, si riferisce (leggo un dizionario) al “piccolo cilindro in legno su cui si avvolge il filato in tessitura o il filo da cucire” e sul quale, per una sera, ho messo a posto i fili di alcune doppie vite.
Tranne quella dell’amico dell’amico (per ovvie ragioni che non ho voglia di star qui a ripetere), le altre tre appartengono al firmamento dei gioielli che la Storia ha ci consegnato e la buona volontà di alcuni ha fatto rinascere.
Questa volta, mi auguro, per non finire più su un libro con scritto in fianco la notizia sbagliata.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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L’ARCHIVIO DELLA RUBRICA DOMENICALE |
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