INTROBIO – Lo storico e scrittore lecchese Gianfranco Scotti ha incantato con la recita delle poesie dialettali del milanese Carlo Porta un appassionato pubblico di introbiesi intervenuto nella sala consiliare di Villa Migliavacca per “La forza del dialetto milanese: Carlo Porta”, iniziativa culturale organizzata dall’amministrazione comunale dcon l’intenzione di valorizzare la parlata locale dialettale che trova le radici proprio nel dialetto meneghino.
Scotti ha da sempre rivolto i suoi interessi alla letteratura lombarda, con particolare attenzione alle figure di Carlo Porta, Domenico Balestrieri, Tommaso Grossi, Delio Tessa, Giovanni Barrella. Nel 1982 ha promosso e diretto la compilazione di un vocabolario italiano-lecchese e lecchese-italiano, opera di grande respiro realizzata nell’arco di dieci anni e ripubblicata accresciuta e corretta nel 2001.
Fra le molte pubblicazioni dedicate alla sua città, si ricorda uno studio sull’architettura Liberty, una guida di Villa Manzoni al Caleotto, un volume sulle ville di Lecco e provincia, e tre volumi (con Angelo Borghi) dedicati ai dipinti di Lecco in collezioni private, alle incisioni di Lecco e alla cartografia lecchese dal XIV al XIX secolo. Ha curato la parte relativa a Lecco e suo territorio nel volume “Parlate e dialetti della Lombardia, lessico comparato”, promosso dal Centro delle Culture Lombarde e patrocinato dalla Regione Lombardia. Ha curato la sezione della poesia dialettale brianzola nel quinto volume della “Storia della Brianza”, di recente pubblicazione. Ha inciso un CD con poesie di Porta, Grossi, Tessa e Barrella. E’ redattore, dalla fondazione nel 1978, della rivista di studi storici “Archivi di Lecco”.
Carlo Porta (1775-1821), poeta in dialetto milanese, occupa un posto particolare nel romanticismo italiano, esponente di quello che potremmo chiamare realismo romantico. Funzionario statale, nel 1792 pubblicò El lavapiatt del Meneghin ch’è mort (Il lavapiatti del Meneghin che è morto) e, intorno al 1804, una spigliata e popolare versione-travestimento in milanese dell’Inferno di Dante. In un articolo sulla “Biblioteca italiana” (11 febbraio 1816) Giordani aveva attaccato la poesia dialettale, considerandola un esempio deleterio di particolarismo, da superare nella “pratica della comune lingua nazionale”. A questo attacco Porta rispose con violenti sonetti e con l’adesione alle proposte romantiche. Però, più che adesione fu semplice simpatia o, meglio, un interesse aperto a quella prospettiva di modernità e di spontanea comunicatività che Porta pensava essenziale non del romanticismo ma della poesia stessa. Intenso fu comunque il ruolo che egli ebbe nella vita culturale milanese: raccolse intorno a sé un ristretto e familiare cenacolo di giovani letterati lombardi, tra cui G. Berchet, T. Grossi, E. Visconti; vi partecipò anche lo scrittore francese Stendhal, che ammirava molto la poesia di Porta. Dal 1814 al 1816 il poeta cominciò a raccogliere in vari quaderni autografi le proprie opere, che dopo la sua morte subirono censure moralistiche e cancellazioni da parte di Luigi Tosi. Nel 1817 viene pubblicata una piccola raccolta dal titolo Poesie. Postuma l’edizione del 1826 curata dall’amico Tommaso Grossi. Il mondo di Porta è una straordinaria rappresentazione linguistica del popolo e della borghesia che affollano piazze e mercati della Milano del tempo. La sua opera è un altissimo risultato di rapida e guizzante comicità e di dolente satira sociale, come forse non accadrà mai più (eccetto per il poeta romano G.G. Belli) in tutto il nostro Ottocento. Determinanti sono una profonda ma mai corriva simpatia per il mondo dei perdenti e degli oppressi e l’infinita varietà dei registri del dialetto. Tra i risultati più straordinari, che lo pongono tra i grandi della nostra letteratura, i componimenti poetici On miracol (1813-14); La nomina del cappellan (1819-20); I desgrazi de Giovannin Bongee (1812-13); La Ninetta del Verzee (1814); El lament del Marchionn di gamb avert (1816), On funeral (1816).
cfr varie fonti online
Foto Comune di Introbio