PRIMALUNA – Questa sera alle 20, 45 nella sala dell’Associazione Amici della Torre a Cortabbio di Primaluna in Via Umberto I presentazione da parte dello storico Marco Sampietro del libro Con rosario e martello – L’avventura missionaria di fratel Felice Tantardini in terra birmana.
Felice di nome e di fatto, si autodefinisce “il fabbro di Dio”, ma chissà l’effetto che gli fa oggi sentirsi chiamare “il santo con il martello”. Nasce nel 1898 a Introbio, in Valsassina, sesto di otto figli e mamma, a corto di nomi, ascolta il parere della levatrice, che le suggerisce di chiamarlo Felice: un nome che a lui piacerà sempre, perché “esprime l’ideale della mia vita: sforzarmi di essere felice, sempre e ad ogni costo, ed essere intento a far felici gli altri”. Dopo la disfatta di Caporetto è arruolato e, dopo un paio di mesi di addestramento, mandato in prima linea, a far da “esca ai tedeschi per attirarli sotto il fuoco delle nostre artiglierie”. Ci resta appena un paio di giorni, perché è subito fatto prigioniero e passa così da un campo di lavoro all’altro, da Udine a Gorizia a Belgrado, dove si muore anche di fame.
Quando proprio non ne può più, con altri quattro progetta l’evasione, strisciando come un topo di fogna in un canale di scolo e raggiungendo con un viaggio avventuroso la Grecia e di qui l’Italia. Per fargli cambiare idea arriva ad accusarlo di essere “crudele a lasciare la mamma sola e che ne avrei affrettato di dieci anni la morte”, mentre questa lo invita a seguire la sua strada, mettendolo solo in guardia che quella improvvisa vocazione non sia un fuoco di paglia. A 23 anni entra nel Pime e dieci mesi dopo è destinato alla Birmania come fratello laico: non avrebbe i numeri per studiare e, in fondo, quella del prete non è neppure la sua vocazione. Parte per la missione il 2 settembre 1922: vi resterà ininterrottamente per 69 anni, con un solo rientro di pochi mesi in Italia, nel 1956, giusto il tempo per una revisione generale della sua salute e per tentare inutilmente di “mettere su un po’ di carne sulle ossa, ormai spolpate”. È destinato alla missione di Toungoo, ma in effetti si sposta di missione in missione, ovunque lo mandano a chiamare, perché i Padri hanno dimora fissa, un campo di lavoro determinato, mentre lui abita dove c’è lavoro, non ha un focolare proprio, cambia casa, letto, cucina. Se gli dicono “Felice, tu non potrai essere canonizzato, proprio a causa di questo attaccamento alla pipa”, invariabilmente risponde: “Tanto meglio!”.
A 85 anni lo mandano in “pensione”, nel senso che gli impediscono di lavorare il ferro e gli comandano di pregare.