BARZIO – “Rifugi alpini tra tradizione e innovazione” è il titolo dell’affolatissimo convegno dei Cai Milano, ospitato questa mattina dalla Comunità Montana. Il tema era un classico: i tempi e la società cambiano, e con essi si evolvono anche i rifugi di alta montagna. Ma è giusto portare i comfort da resort di lusso in un rifugio, o è meglio mantenere il carattere puro e spartano che da secoli accompagna queste strutture?
Il tutto trae origine da una polemica che corre da mesi sui crinali delle Grigne, scende sul fondovalle e sfocia poi sui media e nei social network, con contorno di violentissime polemiche, le stesse riproposte nel finale del maxi dibattito di oggi a Barzio. Il Cai milanese ha infatti organizzato in tutta evidenza il simposio proprio per dire la sua sul profluvio di discussioni anche feroci che da tempo si è scatenato partendo da un caso specifico e poi allargandosi ad un malessere sentito chiaramente e non a caso giusto ieri esploso nella poderosa nota critica di Confcommercio Lecco e del suo Gruppo Rifugi, contro la presunta tendenza al business del nuovo corso del Club.
Dopo un’introduzione del presidente nazionale Cai Vincenzo Torti prende la parola Carlo Lucioni, ex presidente, che, dopo una panoramica che conta 90 rifugi in Lombardia per più di 5.000 posti letto, mette l’accento sulla finalità sociale delle strutture d’alta quota: “Il compito del rifugio non è quello di far profitto, ma incentivare la frequentazione della montagna perché rende l’uomo migliore: è dunque necessario che Cai e gestori collaborino”.
Quanto alla politica tariffaria bisogna adeguarsi alle frequentazioni, per cui bisogna fare un’indagine: “Laddove la frequentazione è alta si potrebbe permettere una tariffa di pernottamento di 10-11 euro” fa sapere Lucioni. Non vanno poi trascurati i corsi di formazione, perché non è automatico che chi si presenta al bando per la gestione di un rifugio abbia già tutte le competenze richieste, ma su questo c’è molta disponibilità da parte del Cai.
Giacomo Benedetti, presidente della Commissione centrale rifugi, suggerisce un tavolo di lavoro, dal carattere tecnico e di coordinazione, tra Cai e rifugisti. Si sofferma poi sui bivacchi, che, essendo in punti meno accessibili sono spesso trascurati e alcuni di essi sono ancora ricoperti da tetti di amianto; per questi va fatto un censimento e va creato un modello di “bivacco tipo” da seguire nel restauro. “Non si può pretendere, inoltre, che un rifugio di montagna offra comfort da albergo e attività ricreative da resort; e nemmeno i controlli di qualità possono insistere come se ci si trovasse in piena città: dovrebbe bastare il decalogo dei Cai, l’accoglienza dei gestori e l’aquilotto sull’ingresso delle strutture”.
Fin qui e anche negli interventi successivi molte positive enunciazioni di principio. Poi però si è giunti al dibattito e la questione è esplosa in modo virulento: molti rifugisti, frequentatori delle Grigne e pure amici del capanatt in questione (Mauro Cariboni, che a fine anno dovrà lasciare dopo quasi mezzo secolo il ‘Rosalba’) si sono lanciati con forza contro la scelta del Cai di affidare la gestione ad Alex Torricini del ‘Brioschi‘ – il quale già sta sopperendo in questi mesi alla mancanza di un titolare al ‘Porta‘, sotto la Grignetta.
A destra, Mauro Cariboni
Premessa comune, nessuno degli intervenuti ce l’ha con il rifugista erbese, ma è invece generale la sfiducia verso il Cai – di Milano e non solo. Si è trattato di un dibattito molto “politico”, del quale daremo conto con un secondo servizio on line a breve. Un autentico scontro di visioni del ruolo dei gestori e del ‘presidio’ della montagna, con vari operatori del settore lanciati nel criticare il Club Alpino e quest’ultimo a difendere la posizione, cercando di riportare la discussione fuori dal tema “del singolo”.
Ma il caso-Cariboni è solo la punta dell’iceberg, evidentemente. E al di là della storia personale e dei probabilissimi fraintendimenti che accompagnano la vicenda specifica, appare chiaro il dissidio tra “modernisti” e “tradizionalisti”, tra chi spinge su “giovani con progetti di lungo corso” e i fautori della continuità, con posizioni distantissime su contratti che devono valere e richieste di valutare maggiormente la componente umana.
Insomma, il convegno del Cai voleva “volare alto” cercando di evitare la contrapposizione sulla questione Rosalba ma come ha dovuto ammettere il presidente milanese Minotti “se stiamo parlando degli interessi di una singola persona, forse non ho capito nulla, non siamo sulla lunghezza d’onda della platea”.
A. To./S. T.
LEGGI ANCHE
TUTTI CONTRO IL CAI MILANO (E NON SOLO). RIFUGISTI DELLA VALSASSINA IN RIVOLTA: “ASSEGNAZIONI PILOTATE, TUTELARE PERSONE E NON BILANCI”
CONVEGNO SUI RIFUGI, IL CAI LO HA VISTO COSÌ: SENZA DIBATTITO