Quando avranno inquinato l’ultimo fiume,
abbattuto l’ultimo albero,
preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce,
allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro
accumulato nelle loro banche.
(Tatanka Yotanka – Grand River, 1831 – Fort Yates, 15 dicembre 1890)
.
Torniamo indietro un passo.
Anzi, già che ci siamo, anziché di uno facciamo di sette.
Domenicale della scorsa settimana: numeri quasi record, il direttore annuncia che sono state superate le 4.000 letture “singole” (si dirà così?), cioè, se ho capito bene, se il Giovanni l’ha letto dieci volte conta una, per cui (sempre se ho capito bene) almeno quattromila computer o attrezzi similari si sono messi in contatto con il pirla.
C’è di più. Di solito questi contatti sono fugaci, durano lo spazio di un paio di minuti, giusto il tempo di farsi scivolare addosso le parole; nel caso del pirla, invece, la media supera i cinque minuti, come dire un’eternità in quell’universo di silicio che permea gran parte del nostro sapere.
Sarà che tutti erano curiosi di sapere chi fosse il pirla, in ogni caso dovrei essere contento.
Dovrei.
Già, perché in tutto questo intersecarsi di società, sistema, famiglia, scuola e molto (molto) altro ancora, non vi sembra di essere in definitiva impotenti?
Non avete la sensazione che potreste scrivere (e dall’altra parte del guado leggere) mille domenicali zeppi di buona volontà che, alla fine, sono serviti solo per riempire uno spazio vuoto tra la cronaca del sabato sera e quella della domenica mattina?
Bello, bravo, giusto.
E grazie.
Cinque minuti (per la precisione cinqueminutieottosecondi) poi tutto ci torna a scorrere addosso come se niente fosse. Accettiamo di essere sistema, ci confondiamo tra le luci e le ombre della società, guardiamo nel giardino degli altri anziché curare prima il nostro e incolpiamo quello che c’è dall’altra parte del marciapiede di tutte le malefatte di questo mondo.
E siamo in pace con noi stessi, nascosti dietro il monumento al paravento.
Ma non sono tornato indietro di sette passi per lanciare sul tavolo l’ennesimo due di picche e per rendere omaggio all’impotenza.
No, perché c’è anche tanta gente, tanti giovani, tante famiglie, tanti preti, tanti insegnanti che non vogliono accontentarsi.
Escono dagli schemi, non si adagiano sul quotidiano, lottano per guadagnarsi il pane o per costruirsi un futuro; si creano obiettivi e speranze; non si lasciano irretire dalla società.
Crescono, educano e trasmettono valori, proprio come una volta, ed oggi è più difficile, quindi onore al merito.
E mi scuso se la settimana scorsa ho sparso la voce che sarebbero dei pirla.
Piuttosto, azzardo, vanno considerati eroi.
E non devono fare la fine degli indiani.
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A proposito di indiani e per cambiare argomento e tornare su un altro che mi è sempre stato particolarmente a cuore, confesso che ho pensato a lungo all’acqua che scorre libera e felice, alla sua bianca e allegra schiuma, ed avrei voluto bagnarne una paginetta.
E avrei voluto parlare anche di una signora di Matera, sessantamila abitanti, detta la città dei sassi, patrimonio dell’Unesco, città europea della cultura 2019, mica paglia, insomma.
In settimana, però, Toro Seduto ha già piazzato la sua tenda in Val Varrone e rivendicato il territorio ai Sioux, ragion per cui Geronimo, al quale mi sono rivolto per sentire un’altra campana, da Apache accorto mi ha detto che preferiva starsene alla larga anche se una domanda, nella sua infinita saggezza, me l’ha posta.
Nel momento dell’impotenza, nessuno ci aveva pensato?
E, nel caso ci avessero pensato, dove si erano smarriti i pensieri?
Come vedete le domande erano già diventate due.
Informato della regola vigente, Geronimo ne ha aggiunto una terza, così, pura curiosità.
La signora di Matera verrà quantomeno nominata “patrimonio di Premana”?
Non ci resta che attendere.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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In copertina: Arrapaho (Squallor) da Wikipedia