“La storia del passato
ormai ce l’ha insegnato
Che un popolo affamato
fa la rivoluzion
Ragion per cui affamati
abbiamo combattuto
Perciò “buon appetito”
facciamo colazion”
(Viva la pappa col pomodoro – Lina Wertmuller/Nino Rota – 1964)
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Rieccomi. Dopo aver lazzaronato per un mese o poco meno, sono ancora qui. O qua. Vedete voi.
Vi sono mancato? Voi sì. E non è una sviolinata.
Dopodiché devo scrivere qualcosa per riaprire la nuova stagione del domenicale e francamente mi sento un po’ arrugginito.
Per cui ho deciso di salvarmi in corner e riprendere dall’ultima puntata.
E chiudere un diario lasciato a mezz’aria.
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10 settembre. Ghiaia. Centinaia di metri quadri di ghiaia. E un concerto di silenzi accompagnato da un leggero vento d’autunno, strumento in mano ad una natura che sta cambiando colori. E intorno prati vuoti riconsegnati alla solitudine dell’erba che cresce, o crescerà. Chissà.
Sono ancora qui, cessato il clamore, sparite le pagode, abbassata la saracinesca sulla cinquantaduesima, la maglietta degli Scramble lavata e riposta nell’armadio assieme a tante storie, alcune delle quali ho voluto condividere con voi. Ma ne mancava una e ci metto una pezza.
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15 agosto. Il giorno più lungo. È vero, domani ce ne sarà un altro, ma Ferragosto è Ferragosto, e non ve l’ho raccontato. Per cui, probabilmente (anzi, sicuramente), non siete al corrente che verso le 11 c’è uno specialissimo taglio del nastro. Ora, è difficile da spiegare: voi pensate che alle 11 uno abbia fatto colazione da poco e senta ancora sul palato il sapore di brioche e caffè.
Sbagliato.
L’orologio di Ferragosto tiene un ritmo diverso e tutte le volte mi domando da che ora è in giro quella gente che attende con ansia assiepata fuori dal cancello l’annuncio “Ore 10, la Sagra è aperta”, saluta con un sospiro e diversi “era ora” le porte che si aprono, invade come un fiume in piena le corsie accompagnata nel suo incedere da un gran rumore di campane, campanacci e vuvuzela. Da questo fiume, a un certo punto, si stacca un torrente che arranca sulla ghiaia inseguendo il profumo di peperoni e cipolle grigliate. Sono le dieci del mattino, ma c’è un popolo che ha fame ed il foglio di carta più letto è il menù di Alessio, nemmeno fosse la Stele di Rosetta e contenesse chissà quali misteriosi segreti.
E la studiano.
“Ven chi Giuan!”, “Ghe da i pizzocheri”, “A mi me pias la pulenta”, “Però ghe anca i lasagn”, “E ul frito misto, chisà se le bun!”, “Varda se ghe da bef” “Ma a che ura i derbiss ul risturant?”, “Adess ghe dumandi”.
“Giuan, setess giò a ciapà post!”.
E il Giuan si siede, al se seta giò e alle 10.45 comincia a formarsi una discreta coda.
Dietro i banchi fervono i preparativi e siccome sono tutti vecchi del mestiere non si lasciano impressionare dalla folla che cresce davanti a loro. L’andirivieni dalla cucina è incessante, il capo guarda e corre di qua e di là.
El Giuan è seduto da un’ora, intanto la famiglia è arrivata tutta, lui e la moglie erano solo l’avanguardia, le forze speciali mandate avanti a preparare il terreno al resto del plotone che ora si è intrufolato tra le linee nemiche cercando di guadagnare posizioni mimetizzandosi nel migliore dei modi: lo stomaco reclama, perdio, sono già le undici!
A separare la folla dall’agognato cibo, guarda là, c’è un nastro tricolore. Urca!
Poi arriviamo io e il Pucci con la forbice in mano. Aspettiamo il segnale e intanto cacciamo un po’ di balle con bella gente in attesa per scoprire che sanno già cosa deve capitare, l’hanno già visto l’anno scorso, e poi anche l’anno prima, e quello prima ancora. I fedelissimi del Sagra delle Sagre Social Club.
Alessio ha la tentazione di far suonare l’inno dello Juventus Stadium ma, forse per una sorta di rispetto verso il nerazzurro e il rossonero con le forbici in mano, evita.
La tensione cresce. Avete presente l’atmosfera che precede una finale olimpica dei cento metri? “Ai vostri posti”, l’acquolina comincia a fluire; “Pronti”, il profumo dei pizzoccheri diventa insostenibile. “Via”, il nastro tagliato cade tra gli applausi, e buon appetito.
Soprattutto al Giuan che l’è lì ch’el specia da un’ora e mezza e quasi si stava addormentando.
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Giorno 10 + ventisette. Brutto tempo sulla ghiaia della Fornace. La pioggia di fine estate ci sta accompagnando verso l’autunno: per salire sulla giostra del tempo non hai avuto bisogno di comprare un biglietto, è stato sufficiente che tua madre ti accendesse alla vita. Chiudo gli occhi e cerco di ricordare i fuochi di Ferragosto ma è un esercizio difficile e mi sembra di sentire solo i botti che risalgono le valli.
Mi chiedo perché mai non riesca a vedere le luci che salgono e cadono illuminando la notte: non trovando risposte mi affaccio dal ponte a guardare la Pioverna che scorre.
Penso al giorno dell’inaugurazione, alle grandinate, ai parcheggi, al sole che infine è tornato, ai miei splendidi compagni di viaggio, a Renato, alle storie che mi hanno raccontato, a tutti quelli che andavano in contromano, al camion fermo in mezzo alla strada, a Ivan e i suoi tatuaggi, al Galbiati, ai pizzoccheri, alle decine di Giuan campioni di pazienza e rassegnazione seduti al tavolo ad aspettare la loro razione di rancio.
Torno a casa pensando che, in fondo, la Pioverna, come il tempo, continua a scorrere nella stessa direzione. Sta a noi utilizzarli nel migliore dei modi (tempo e Pioverna).
E penso anche al menù di Ferragosto: visto quanta gente è accorsa ad ammirarlo, potrebbe trovare posto, come la Stele di Rosetta, in un museo.
Potrei suggerirne uno.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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