“Segui sempre le 3 “R”:
Rispetto per te stesso.
Rispetto per gli altri.
Responsabilità per le tue azioni”
(Terzo principio di Vita e di Felicità secondo il Dalai Lama)
,
Domande.
E, se riesco, risposte.
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La prima: di chi è la Pioverna?
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Quando ero piccolo e mi affacciavo al muretto della piazza di Cortenova il padrone della Pioverna lo vedevo sempre lì, sotto il ponte, intento a pescare.
Era “Ol Carera”, non chiedetemi come si chiamasse, non me lo ricordo più anche se da cortenovese dovrei e chiedo scusa alla sua famiglia. Ma poi, ditemi voi, quale importanza può avere un nome se dalle nostre parti i soprannomi valevano più di qualsiasi esame del DNA?
“Ol Carera” l’era sempre lì, piantato come una quercia in mezzo all’acqua fredda, incurante dell’umidità tremenda, per radici gli stivaloni verdi, unico ramo la canna da pesca il cui amo setacciava l’acqua che ribolliva sotto la cascata.
Eccolo, “il padrone della Pioverna”, pensavo.
Qualcuno mi dirà che non era il solo. Ebbene sì, è vero, ce n’erano altri intorno a lui a pescare, e guarda caso in molti erano della stessa famiglia.
“I padroni della Pioverna”.
Poi sono arrivati altri. Pescatori. E padroni.
Li vedi la domenica mattina presto piazzare ombrelloni e sdraio in angoli che tu avevi evitato per una vita intera; accendono i loro fuochi, coprono il rumore dell’’acqua che scorre con le loro grida, se ne vanno lasciandosi dietro segnali inequivocabili della loro presenza.
È il turismo, mi dicono, e forse (molto forse) hanno ragione.
Però preferivo la poesia che mi ispirava “ol Carera” solitario sotto un ponte ad aspettare che qualche trota si degnasse finalmente di abboccare a quell’amo consumato dalle acque.
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E di chi è il Lago?
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Non amo l’acqua. Non è il mio elemento, mi ci trovo malissimo, ma questo ve l’ho già spiegato diversi domenicali fa.
Eppure il Lago è il Lago e non posso fare a meno di amarlo.
Per me racchiude un mistero, ogni tanto ci ricamo sopra una storia alla quale forse un giorno troverò un degno finale e potrò raccontarla.
Se mi avete seguito un po’ negli ultimi mesi potete facilmente immaginare chi sia per me il padrone del Lago.
Vi dico che abita a Bellano, e tanto penso possa bastare.
Il Lago è insieme malinconia e serenità, ma quando l’aria si scalda appena appena diventa una enorme sala giochi sulla quale si diverte una moltitudine capace di dominare le onde appropriandosi di quella immensa distesa d’acqua.
È il turismo, mi dicono, e forse, in questo caso, potrei anche prenderla per buona..
Però, lasciatemi dire, preferisco quando gli sono davanti da solo e riesco a sentirlo respirare, perché il lago ha qualcosa di vivo in sé e quando riesci a percepirlo poi non te ne liberi più.
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E di chi è la Montagna?
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Ecco una domanda veramente impegnativa.
O, per dire una benedetta verità, che abbiamo fatto diventare maledettamente impegnativa.
La gente di una volta non aveva dubbi, anzi, non avrebbe proprio neppure posto una domanda del genere, e se qualcuno l’avesse solo accennata gli avrebbero dato dol bigol e chiuso l’argomento.
Non devo certo spiegarlo a voi, miei compagni di viaggio in questi Posti Bellissimi, ma qualcuno ancora finge di non sapere che la Montagna non ha padroni perché la Montagna è essa stessa padrona, capace di respingere, di accogliere, addirittura di uccidere; la Montagna è padrona perché ti domina in tutto e per tutto, ed anche quando riesci a salirla sino alla cima lei si impossessa del tuo sguardo e ti penetra come un buon veleno nell’anima e nel cuore.
Se, ovviamente, sei capace di amarla.
Ora, devo purtroppo constatare come, in mezzo a una moltitudine che riesce a volerle bene davvero, ci sia in giro tanta gente che “pensa” di amare la Montagna; ed almeno altrettanta che “pensa” di poter vantare diritti su di Lei.
Personalmente ritengo di esserle sempre debitore; sotto di lei sono nato ed alle sue pendici mi risveglio ogni giorno finché un Dio vorrà, e che sia quello della Croce o quello pregato in un posto violentato e lontano in fondo poco importa, visto che entrambi ti chiedono, da sempre inascoltati, di seguire un sentiero di pace.
Che noi, poveri bischeri capace di azzuffarci non appena ne intravvediamo l’occasione, non sappiamo nemmeno da che parte comincia, figuriamoci se ne intravvediamo la fine.
A questo punto, per simmetria con la Pioverna ed il Lago, dovrei parlare di chi la assalta, la deturpa, la inquina, la sfrutta, la tratta come uno zerbino, vi lascia tracce di inequivocabile ignoranza.
E si comporta da “padrone”.
Ma non ho voglia di farlo, e non lo farò. Lascio a voi il compito di scrivere le ultime righe, so che siete in tanti ad amarla con il rispetto che le si deve, per cui non incontrerete difficoltà alcuna.
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Adesso, però, in conclusione e visto che sono il “padrone” del domenicale, vi dirò cosa penso a proposito della storia delle croci e delle bandierine, tralasciando la teoria dell’inquinamento che ritengo (ma questa è una mia personalissima opinione) una bigolata solenne (e se non vi interessa proseguire cliccate in alto a destra e uscite, non avete nessun obbligo, non preoccupatevi!).
Io credo che i simboli, tutti i simboli, vadano rispettati.
Quindi la Croce è la Croce e come tale deve restare, senza altro addosso, al massimo colorata solo del sangue di un Uomo che in molti credono abbia poi salvato il mondo e gli uomini da sé stessi.
E la stessa cosa vale per le bandiere di preghiera tibetane: non hanno bisogno di aggrapparsi ad altro ma devono sventolare di vita propria mentre promuovono la pace, la compassione, la forza e la saggezza, per cercare di salvare il mondo e gli uomini da sé stessi.
Certo, possono stare vicine e parlarsi, come Don Bruno e Geshe Lobsang Sherab, ma ciascuno al suo posto, perché di confusione in giro ce n’è già troppa e di altra non ne abbiamo bisogno.
Pace, Compassione, Forza, Saggezza.
Ecco: non mi sembra siano virtù presenti in chi abbatte le croci, strappa le bandierine di preghiera, decapita una madonnina o, ultima notizia, ruba la Grazia dal giargiool dol Zambeli.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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