I prototipi contrapposti del fariseo e del pubblicano, tradotti in termini attuali, vogliono dire che siamo farisei ogni volta che ci appelliamo alla nostra coscienza pulita, alla nostra osservanza delle pratiche religiose, alla nostra maggior cultura o condizione religiosa e sociale, per crederci migliori e disprezzare i “nuovi pubblicani”: emarginati, mendicanti, alcoolisti, drogati, divorziati, abortisti, madri nubili, prostitute, truffatori, profittatori, zingari, emigranti ecc.
Poveri noi se preghiamo: “Ti ringrazio Signore perché non sono come questa gente…” In tal caso, come il fariseo resteremmo esclusi dalla misericordia del Signore che otterremo solo confessandoci peccatori, come fece il pubblicano e come facciamo all’inizio di ogni messa!
E’ importante ricordare che Gesù disse la parabola di oggi per quelli che si ritenevano giusti, si sentivano sicuri di loro e disprezzavano gli altri. Pertanto, nella sua lettura attuale, i destinatari della parabola sono i credenti osservanti e devoti che cedono alla tentazione di insediarsi nella loro buona condotta e sono inclini all’intransigenza e al discredito degli altri. Sfortunatamente, è ancora vivo il fariseismo!
Si può facilmente verificare che questa religiosità da vetrina non è cosa del passato; non è nostra né mai morirà, perché il suo fondamento è la superbia.
Tutti possediamo particelle personali di fariseismo, a volte perfino riconoscendoci peccatori senza crederlo; una falsa umiltà è la forma più raffinata di orgoglio.
L’unica cura possibile è chiedere a Dio la luce per vederci come siamo, riconoscerci peccatori e ripetere: “Signore, io non sono degno, abbi pietà di me”!
Don Graziano vicario parrocchiale
Domenica 11 febbraio 2018
Rito Ambrosiano – Ciclo “B”
Ultima domenica dopo l’Epifania
Vangelo Lc 18, 9 – 14