Gesù viveva le situazioni di frontiera della vita, incontrava le persone là dove erano e attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza; Gesù portava negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme la gioia incontenibile dei guariti.
Ebbene, il grande pericolo per i credenti di ogni tempo è di vivere una religione dal “cuore lontano”, fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra, di compiacersi dell’incenso, della musica, della bellezza delle liturgie, e niente più.
Il pericolo del cuore di pietra, indurito, del “cuore lontano” da Dio, è quello che Gesù teme di più. Il vero peccato per Gesù è innanzitutto l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio. Gesù propone il ritorno al cuore, per una religione dell’esteriorità!
Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l’impuro, quei pregiudizi così duri a morire. Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell’uomo e della donna. Come è scritto: “Dio vide e tutto era cosa buona”.
Gesù benedice di nuovo le cose, compresa la sessualità umana che noi associamo subito al concetto di purezza e impurità, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle.
Dobbiamo custodire con ogni cura il nostro cuore perché è la fonte della vita. E allora via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ciò che è cascame culturale che Lui, Gesù, chiama “tradizione di uomini”.
Che respiro di libertà ci dà Gesù! Quando apriamo il Vangelo è come una boccata d’aria fresca dentro l’afa pesante dei soliti discorsi.
Dio scruta i nostri pensieri, misura le nostre intenzioni, sa valutare fino a che punto coincide quello che facciamo con quello che abbiamo nel cuore. Facciamo spazio alla sincerità con noi stessi, se vogliamo conservare la nostra dignità.
Don Graziano
vicario parrocchiale
Domenica 16 settembre 2018
Rito Ambrosiano “B”
Terza domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Vangelo Gv 3, 1 – 13