STORIA E STORIE DELLA VALSASSINA: LA CROCIATA DI DON TORRI, DAL PULPITO CONTRO MBRIACHI E LUPANARI



“Considerato per riguardo a Dio il beone vizioso lo si trova peccatore, indivoto, ed empio. E dapprima chi non lo sa che l’ubbriachezza è peccato, e peccato mortale ? Chi non lo sa che chiunque vi si abbandona viola un precetto divino e naturale, il grave precetto della temperanza, e quindi gravemente offende Dio”?

Quella che don Antonio Torri, parroco di Primaluna per molti anni dal 1840 fino alla sua morte, avvenuta nel giugno del 1861 (l’anno dell’Unità d’Italia), stava conducendo era una vera e propria crociata contro gli “mbriachi” e contro le “Hosterie” dove essi si ritrovavano per i loro “sozzi sollazzi”.

Nato a Onno nel 1812, sulla sponda occidentale del Lario lecchese, fu mandato ancora ragazzo a studiare a Milano e poi si iscrisse al Seminario all’età di 20 anni. Don Torri era dedito allo “studio ed alla preghiera”, “coltivando le sue virtù”, come ricorda il vicario P.C. Bazzi, che nel 1865, quattro anni dopo la morte di Torri, raccolse molte delle sue prediche e delle sue poesie (ce n’è anche una di felicitazione per la “cacciata degli Austriaci da Milano”, scritta nel 1848).

Bazzi presiedeva una Commissione di cinque sacerdoti che analizzarono le sue prediche, tutte lasciate scritte dal Torri, ed altre opere, e raccolsero quelle a loro parere più interessanti in un volume stampato a Como sempre nel 1865, “opera postuma a cura dei suoi amici, dedicato ai Valsassinesi, clero e popolo”.

Il volume, riscoperto dal bibliofilo milanese Giancarlo Valera, è stato recentemente analizzato e riproposto da due appassionati cultori della storia valsassinese, cioè dal sindaco di Parlasco Renato Busi e da Carlo Beri di Cortenova.

Torri era sicuramente un sacerdote molto stimato sia per la sua cultura, che soprattutto per le qualità oratorie, di cui il volume è testimonianza.

“Fu largo di elemosine, pronto ai servigi, pubblicò preziosi scritti per distogliere dai vizi i redenti di Cristo e per invitare alla dignità i popoli oppressi” (era favorevole al Risorgimento italiano, amico di Giuseppe Arrigoni e di altri patrioti).

I primi capitoli del libro sono dedicati alla sua personale crociata contro l’ubriachezza e le sue conseguenze, argomento su cui nel 1847 aveva già scritto un altro libello, intitolato “Cecco l’mbriacone”.

Ora non sappiamo se nella Valsassina dell’Ottocento il problema dell’ubriachezza fosse così drammatico come ce lo presenta il Torri, né quanto fosse realmente diffuso (bisognerebbe controllare negli Archivi della Prefettura), di certo però Torri ne fa un argomento centrale nelle sue riflessioni.

“Ah pur troppo il beone dacché ha formato il calle all’abitudine si addormenta, cioè si indura nella sua passione”, scrive nella sua predica “Sull’ubbriachezza”.

“Per lui non vi è più speranza di salute!”: il beone “si allontana dalla Chiesa, si infastidisce del culto divino”, stando lontano dai Sacramenti.

I “Campioni dell’Osteria”, “quando il vino gli ha alcun poco esaltato il cervello” diventano “empi, profanatori, bestemmiatori, miscredenti”, disprezzando il culto divino. È principalmente nei giorni di festa che egli, invece di andare in Chiesa, frequenta le osterie, che sono piene di avventori.

“Il beone è bestemmiatore”: alterato nelle sue facoltà mentali, sotto l’impetuosità dell’ira (abituale in lui) “si irrita, si infiamma, mescola i nomi di Dio e delle più sante cose con parolacce sporche e villane, sbuffa come un toro”.
“L’imbriacone si rovina nella dignità dell’uomo, nell’ingegno, nell’onore, nelle sostanze: troverete delle differenze tra l’ubbriaco e una bestia?”

Pesanti anche le conseguenze sociali dell’ubriachezza: intanto “quando è avvinazzato diventa il zimbello e la favola del pubblico per le mille buffonerie e mattezze a cui si abbandona”.
Perde ogni onore di uomo “ripetendo inezie e insulsaggini” lasciandosi andare ora al riso ora al pianto senza motivo. “Se ne va facendo mille smorfie e fanciullaggini: giuoca, salta, conta su filastrocche da pazzo, camminando leva alte le gambe…Va dondolante da un muro all’altro, cade a terra come corpo morto, si avvoltola nel fango come sudicio animale, e rutta le schifosità della sua ingordaggine”. Spesso infine si anticipa la morte con la sua incontinenza, rovinandosi la salute.

Ma i problemi veri nascono per la sua famiglia e “la sgraziatissima moglie dell’imbriacone, quante afflizioni e quanti crepacuori le tocca trangugiare! Condannata a vivere con un marito che tanto si disonora in faccia al pubblico”, a dividere la sua infamia.

“Condannata ad aversi per marito un ingrato, che le manca di fedeltà, che le fa patire mille bisogni, che la tratta come vile schiava non come moglie cristiana, che per i minimi motivi la investe con oltraggi, rimbrotti e perfino talvolta crudelmente la batte” (la picchia) .

Nascono poi gravi problemi economici: “la moglie a casa con una nidiata di innocenti, che sono nudi e domandano pane, e il marito invece che va attorno per le bettole a sbevazzare, a farla prodigo con i compagni, a godersela tra giuochi e allegrie”.

La moglie sperava, sposandosi, “di passare una vita quieta e gioconda col diletto suo sposo ma tutto il contrario è avvenuto”.

Il beone perde tutto, anche il suo lavoro e i suoi soldi, malamente spesi: ma il suo vizio lo porterà a farsi “truffatore e ladro puttosto che cessare la sua bevoneria”.

“All’osteria – scrive in un’ altra predica il Torri – non va che gente di cattivo impasto. Se togliete quei pochi forestieri che cercano alloggio, tutto il resto non è che una ciurma oziosa e malvagia: giovani discoli e libertini, mariti batti-moglie, padri di famiglia prodighi e sciupatori di sostanze, vecchioni incanutiti nel giuoco e nelle intemperanze, avanzi di delitti e di prigionie, truffatori ladri ed assassini, che concertano furti e aggressioni, spioni che tutto adocchiano per tutto riferire”.

“All’osteria succedono violente altercazioni e contumelie (discussioni e insulti), baruffe tumultuose, risse e ferimenti e uccisioni”.

“Vien sera, vien tardi, viene la mezzanotte e il padre è fuori, fuori dove? All’osteria senza fallo, e tocca alla moglie e ai figliuoli di coricarsi senza vederlo ritornare”. Questi nei giorni di festa “vanno in Chiesa per assistervi alle funzioni”: ma dove sarà il padre? “All’osteria eternamente, tra giuochi e libagioni”, per non parlare poi delle “signore” che frequentano anch’esse le osterie per i loro ambigui intendimenti.

“La donna presente là dove i bagordi esaltano le menti e infervorano i sensi è sicuramente come polvere vicina al fuoco. Ma se sconviene che qualsiasi donna si fermi nelle osterie, sarà più sconvenevole che vi pratichino certe donne che di ogni pudore hanno fatto getto… Improntate di libertinaggio, e si sentono cercare stanze appartate, di modo che le bettole si trasformano in lupanari” (bordelli).

I soldi spesi nelle osterie sono soldi tolti alle famiglie, che si impoveriscono e si rovinano: “Gli osti non si contentano di parole, essi vogliono buoni contanti”, sanno bene chi non può più pagare e lo tengono alla larga. I bevitori così alla fine si ritrovano in case vuote, “spogliate delle masserizie più indispensabili, fondi venduti, capitali dispersi in lunghi sbevazzamenti”

La famiglia si trasforma in un “luogo di tormento”, e a volte le mogli arrivano alla separazione.
Insomma, un vero disastro sociale, nato da un vizio contro cui don Torri scatena una vera e propria campagna mediatica, dal suo pulpito parrocchiale

Ma sarà riuscito a convincere i valsassinesi?

– FINE PRIMA PARTE –

[la seconda sabato 2 febbraio su VN]


Enrico Baroncelli

 

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