Domenica 10 febbraio si è celebrata in tutta Italia la “Giornata del Ricordo”, una celebrazione a ricordo delle foibe e soprattutto dell’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, istituita nel 2004 durante il II governo Berlusconi e ricordato ogni anno dal 2005 sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi.
Mi si lasci dire che da sempre penso sia un doveroso ricordo per i nostri esuli italiani, fuggiti nell’aprile-maggio del 1945 dall’Istria e dalla Dalmazia abbandonando le loro case e proprietà da un giorno all’altro, sotto la minaccia delle armi (ad esempio una di queste persone, figlia di un podestà di Zara, è stata insegnante alle scuole medie di Introbio per diversi anni) e perfette e veramente molto equilibrate mi sono sembrate a tal proposito le parole del nostro attuale presidente Sergio Mattarella sia dal punto di vista della rielaborazione storica che da quello dell’attualità politica.
Qualcuno potrebbe dire: cosa c’entra l’Istria con la Valsassina, e perché parlarne su un giornale valsassinese? Invece c’entra eccome.
Intanto sia l’Istria che tutta la costiera marittima adriatica e dalmata facevano parte, fin dal più lontano Medio Evo, della Repubblica di Venezia. Non erano affatto italiani mandati lì da Mussolini dopo la I Guerra Mondiale (come era successo in effetti nella provincia di Bolzano, il Sud Tiroler per gli sustriaci) per consolidare una presenza etnica debole e minoritaria.
Tutt’ altro: quelle popolazioni si sentivano in grandissima maggioranza perfettamente veneziane e quindi italiane, integrate nella nostra cultura nazionale (basti pensare a Ugo Foscolo) da molti secoli e da moltissime generazioni.
La struttura architettonica di quelle città e di quei paesi era del resto perfettamente veneziana (almeno prima che fossero abbruttiti dagli squadrati palazzoni in cemento della cosiddetta “architettura socialista”). Tutti i monumenti, e le antiche tombe di cui le Chiese erano piene (ridotte a stalle o depositi di grano se andava bene sotto il governo del maresciallo Tito, cioè dopo la II Guerra Mondiale fino al 1990 circa) risalivano alla nobiltà veneziana del Cinquecento, Seicento, Settecento a dir poco.
E proprio qui veniamo alla Valsassina: è noto da tempo il rapporto stretto soprattutto tra l’Alta Valle (Premana) e la Repubblica di Venezia, dove i premanesi andavano a forgiare in particolare la parte anteriore in ferro delle gondole. Molti valsassinesi quindi lavoravano a Venezia e anche nel territorio circostante, Istria compresa.
Tra le tombe che ho ricordato però ce ne sono alcune veramente significative, in particolare a Pola, che ricordano duchi, nobildonne e nobiluomini provenienti dalla Valsassina. Una presenza importante era quella dei Della Torre (o Torriani di Primaluna) con Martino Della Torre primo duca del Ducato di Milano alla metà del Duecento (di Martino e della sua partecipazione alle Crociate ne abbiamo già parlato in questo articolo). Successivamente i Torriani vennero spodestati dai Visconti, ma si rifugiarono in Friuli e in particolare a Trieste e in Istria, dove evidentemente avevano molti appoggi.
Ermanno della Torre fu infatti il capostipite, alla metà del Duecento, della linea genealogica di Gorizia (Thurn-Hofer und Valsassina), al servizio sempre degli Asburgo. Un secolo dopo vari Della Torre ebbero incarichi religiosi nella provincia di Aquileia (vedi in particolare il sito http://genealogy.euweb.cz/torre/torre2.html): Raimondo della Torre fu infatti Patriarca di Aquileia, un incarico allora molto prestigioso; il vasto territorio del Patriarcato aquileiese si estendeva tra la Stiria, l’Istria, fino alla Lombardia.
Ma già dopo la sconfitta nella battaglia di Desio del 1277, in cui i Torriani cedettero il primato in Lombardia ai Visconti, essi fecero dei territorio veneto-orientali la loro roccaforte: da quel momento, dal Friuli e dalle città padane a loro fedeli, i Della Torre organizzano una guerriglia senza tregua contro i Visconti. Corrado nel 1290 è nominato governatore dell’Istria, nel 1293 podestà di Trieste e nel 1304 podestà di Bergamo.
Che i Della Torre per diversi secoli fossero molto presenti nel Nord Est italiano, e con incarichi di una certa importanza, mi sembra indubitabile: Francesco Torriani fu consigliere dell’imperatore Ferdinando I e barone imperiale e ambasciatore a Venezia (1558); Carlo Torriani fu governatore di Trieste nel 1666, e tra le tombe antiche nel Duomo di Pola che ho personalmente visto ne ricordo una dedicata a una “Duchessa della Valsassina”, del Seicento, ivi seppellita.
Sono questi argomenti su cui sarebbe necessaria una ricerca storica più approfondita. Bastano però, io credo, questi pochi e veloci appunti, per dimostrare che il nostro collegamento con l’Istria, sia come italiani che come valsassinesi, non è fortuito né tantomeno lontano: senza revanscismi né nazionalismi inutili e dannosi, la Storia dell’Istria è una storia più vicina a noi di quanto si pensi, ed è una storia assolutamente tutta Italiana.
È un argomento sicuramente scivoloso, come dimostrano le proteste croate e slovene riguardo a un discorso di Tajani, tenutosi sempre il 10 febbraio, mentre Mattarella ha assolutamente ragione: in un periodo in cui si ragiona in termini di Unione Europea, di cui anche la Slovenia e la Croazia fanno parte, bisogna considerare tutti gli aspetti storici e politici.
L’unica precisazione su cui insisterei però è che nei fatti dell’aprile-maggio 1945 l’ideologia comunista non c’entrava assolutamente nulla, salvo una certa accondiscendenza del PCI di allora e di Togliatti, a causa della comune guerra partigiana antifascista, tanto è vero che Tito solo pochi anni dopo entrò in rotta di collisione con l’Unione Sovietica e con la Terza Internazionale Comunista, con cui ruppe duramente i rapporti mai più ripresi (compresi i Comunisti italiani).
Per il maresciallo, dopo la sconfitta delle truppe tedesche, si trattava invece di riaffermare crudelmente un nazionalismo serbo-jugoslavo, che voleva una “grande Jugoslavia”, e che finì per gettare nelle foibe non soltanto fascisti o chi si era macchiato di colpe di guerra, ma anche moltissimi italiani che non c’entravano niente con il regime mussoliniano o che addirittura erano antifascisti, pur di fare una sorta di “pulizia etnica”.
Il problema di Tito però era che una storia millenaria non si può cancellare da un giorno all’altro: alcune minoranze italiane eroicamente hanno resistito, nello strano disinteresse dei governi democristiani degli anni ’50 e ’60 (nemmeno De Gasperi, che veniva dal Trentino, fece niente per gli Iistriani) molti italiani purtroppo se ne sono andati dalle loro terre, ma tutta l’operazione di Tito è sostanzialmente crollata con le guerre e le stragi balcaniche degli anni ’90 (Srebenica e Sarajevo solo per ricordarne due).
In realtà i conti con la Storia a mio parere non sono ancora stati fatti: negare con la forza la cultura, la storia e le tradizioni etniche dei vari popoli, tra cui quello veneto-italiano in Istria, l’unica minoranza in Europa che non è mai stata tutelata (e che non è stata minimamente risarcita di quello che ha perso), almeno fino ad ora, ha sempre portato soltanto a grandi disastri. Queste celebrazioni, come quella del 10 febbraio, sono allora tutt’altro che inutili, e servono non solo a ricordare, ma forse sperabilmente anche a far riflettere la politica internazionale.
Enrico Baroncelli
enbaronce@tim.it