INAUGURATO A CREMENO IL RESTAURO DEL POLITTICO CINQUECENTESCO



CREMENO  – Molta gente alla presentazione del polittico appena restaurato nella chiesa parrocchiale di San Giorgio di Cremeno: a introdurre l’evento il noto storico di arte sacra Oleg Zastrow, che da molti anni si occupa di arredi sacri nelle chiese di tutta la provincia di Lecco (molti suoi articoli sono stati pubblicati sulla rivista Archivi di Lecco negli anni Ottanta, quando il direttore ne era ancora Aroldo Benini).

È stato proprio durante alcuni suoi sopralluoghi nella chiesa cremenese, insieme anche all’allora parroco don Alfredo Comi (che era presente ieri alla cerimonia, con i suoi 94 anni portati splendidamente) che lo Zastrow ha suggerito di togliere una struttura in ferro e vetro, posta davanti al dipinto qualche decennio fa, che lo proteggeva sì da eventuali furti e danneggiamenti, ma che ne limitava fortemente la vista e la godibilità al pubbblico e soprattutto poteva danneggiare il dipinto, a causa del microclima errato provocato dallo “scatolone” di vetro.

Tolto questo “scatolone”, e restaurate alcune parti pittoriche effettivamente deteriorate, l’opera può finalmente presentarsi adesso in tutto il suo splendore: la sicurezza è garantita da invisibili cellule fotoelettriche.

Zastrow ha voluto ricordare l’antica storia della chiesa cremenese: nata probabilmente in età longobarda – mentre forse Cremeno è di origine celtica, come Barzio e Introbio, dove sono state trovate delle tombe celtiche d’età preromana del IV secolo a.C., di cui il Museo Parroccchiale di Don Alfredo conserva qualche interessante reperto, cioè un elmo e una spada celtica – la Chiesa ha subito nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti.

Anche il campanile probabilmente, come quello di San Michele a Introbio, era nato per funzioni militari (osservazione dall’alto e controllo del territorio) e vi si accedeva con una scala esterna retraibile. I Longobardi poi amavano intitolare le chiese a dei santi militari,: come appunto San Giorgio (anche a Molteno c’è una Chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio, e in tanti altri paesi della Brianza), San Michele appunto, e San Martino.

La leggenda del Drago ucciso da San Giorgio, ha ricordato Zastrow, deriva probabilmente dalla visione di un dipinto presente in una chiesa di Gerusalemme, che i Crociati avevano senz’altro notato, che raffigurava l’Imperatore Romano Costantino (quello che ha dato la libertà di culto ai Cristiani con l’Editto di Milano del 312 d.C.) nell’atto di sconfiggere un mostro.

Il polittico probabilmente si trovava dietro l’altare maggiore, visitato e probabilmente ammirato dall’Arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo in visita pastorale nel 1566 e nel 1582, e solo alla fine dell’Ottocento è stato spostato in una cappella apposita, adiacente all’ingresso sulla destra.

L’opera è del 1534, come attesta la data ben visibile sul quadro centrale, commissionata dal notaio Bonetto Arrigoni ai due pittori Sigismondo de Magistris, il maestro, che ha dipinto i tre riquadri inferiori, e il suo allievo Ambrogio Arcimboldi per la parte superiore.

“Come a volte accade, l’allievo però supera il maestro”: la parte superiore è la più bella: al centro San Giorgio che uccide il drago con la sua lancia, alla sua destra Sant’Ambrogio e San Francesco, alla sinistra invece Sant’Antonio, protettore degli animali, che regge in mano la fiamma (a ricordare il “fuoco di Sant’Antonio”) e San Pietro Martire (non Domenico di Gusman, come qualcuno aveva male interpretato) ben riconoscibile dal “falcastro” – una forcola – piantato sulla testa, che causò la sua morte. “San Pietro martire” venne ucciso con un colpo di forcola in testa proprio mentre stava andando da Como a Milano, in un attentato sulla Vallassina, all’epoca piena di boschi”.

Nella parte inferiore, curata dal maestro Sigismondi, troviamo invece al centro la “Madonna col bambino” (un classico dell’iconografia rinascimentale), mentre anche qui appaiono gli strumenti di tortura che hanno martirizzato i primi fedeli della Chiesa. A sinistra San Giovanni Battista, accanto a Santa Caterina d’Alessandria, ai piedi della quale è raffigurata la ruota dentata con cui venne torturata e la spada con cui venne uccisa. A sinistra della Madonna invece San Pietro, il primo Papa della Chiesa e diffusore del messaggio di Cristo a Roma, con le chiavi del Paradiso, e vicino a lui Santa Cecilia, protettrice della vista, che tiene in mano due bulbi oculari (anche a lei furono strappati gli occhi prima di essere uccisa).

Tutte le altre figure sacre alla base del polittico (a volte ripetitive di Santi già presenti in alto), di fattura più mediocre, “nulla aggiungono e nulla tolgono al valore dell’opera”. Al centro c’èGesù, come nell’Ultima Cena, e ai lati undici discepoli, compreso all’estrema destra il “traditore” Giuda.

Un’ultima annotazione: l’opera , sicuramente di gran pregio, deve anche essere costata parecchio, ed è una dimostrazione di potenza e di ricchezza (basti pensare alle lamine d’oro che fanno da sfondo alle figure in alto, oltre che sulle colonne).

È probabile che più che la chiesa di Cremeno, probabilmente non così ricca, il committente sia più che altro la stessa famiglia degli Arrigoni, da cui il notaio Bonetto Arrigoni (si è trovato l’atto di commissione), che all’epoca era probabilmente la famiglia più potente della Valsassina prima che arrivassero i Manzoni, con cui c’era una forte rivalità, e che deteneva la proprietà delle miniere di ferro e le relative officine della Valvarrone, proprietà passata poi nel Seicento ai Manzoni: ma anche di questo torneremo a parlarne.

Enrico Baroncelli

 

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