Non verrebbe da pensarlo quando si apre il frigorifero o si va dal formagiat, ma sulle tavole valsassinesi un alimento che viene da lontano e affonda le sue radici nella storia: il Taleggio.
Il primo ad occuparsene è Plinio, il primo storico della storia, che ne attribuisce la paternità agli Orobii, una tribù celtica che attraversò le Alpi nel IV secolo a.c. insediandosi nelle valli lombarde.
Le fasi della lavorazione descritte da Plinio – l’utilizzo del latte vaccino, la forma, la salatura e gli stampi – inoltre ricalcano quelle utilizzate tutt’oggi e danno conferma dell’antica discendenza del Taleggio.
Da allora sarebbero stati gettati i semi di una produzione sempre maggiore che nell’Alto Medioevo risultava essere ben radicata, come da scritti di Venanzio Fortunato nel VI secolo D.C.. Documenti risalenti al XIII secolo inoltre sgombrano il campo da equivoci facendo riferimento ai commerci e agli scambi di cui il morbido formaggio era oggetto.
Un formaggio nella storia, servito sulle tavole di illustri banchetti. Su tutti l’insediamento pontificio di Papa Clemente IV (1344), le principesche nozze di Francesco Sforza (1441) e anche l’eclettico Giacomo Casanova (1762) ne rimase colpito visitando i luoghi di produzione.
Fino agli inizi del 1900 il Taleggio era chiamato “stracchino quadro di Milano”, perché la sua produzione avveniva con il latte delle mucche “stracche” – stanche – dopo il lungo cammino di ritorno dai pascoli estivi. Da allora il passato diviene presente e ai giorni nostri il Taleggio è un prodotto da esportazione alla conquista di nuovi mercati – tra cui Vietnam, Venezuela e Indonesia – anche se sfortunatamente risente degli effetti della crisi, e non tutte le aziende produttrici navigano in buone acque.
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