SAN JOSE (USA) – Che si punti verso una guida sempre più autonoma, ormai è chiaro da un pezzo. Cruise adattivo che tiene al posto di chi guida la distanza di sicurezza dal mezzo che precede, assistente al mantenimento della corsia che corregge le traiettorie del volante per fare sì che il veicolo rimanga al centro della corsia di marcia, frenata automatica di emergenza che si attiva grazie a un radar in grado di riconoscere anche i pedoni: sono tutti “Adas”, ossia Advanced Driver Assistance Systems – tradotto: sistemi avanzati di ausilio al conducente – che migliorano la sicurezza in strada e che sempre più frequentemente stanno entrando nel listino di base delle vetture più moderne.
Si è partiti anni fa con l’Abs e prima ancora servosterzo e servofreno; ora si mira ad auto in grado di scarrozzare gli occupanti, come se avessero un autista. E non sono fantasie ingegneristiche testate esclusivamente in laboratorio; l’esperimento è riuscito in California, nel centro della Silicon Valley: San Jose. Qui due costruttori europei – uno di vetture, l’latro di componenti per esse – hanno attuato un progetto finalizzato all’affinamento della guida autonoma nella giungla urbana, con traffico realistico, pedoni e imprevisti del caso. Le automobili in questione fanno da taxi a chi ha bisogno di muoversi da una parte all’altra della città e comunque non manca mai un autista pronto a intervenire qualora fosse necessaria la mano dell’uomo.
La metropoli teatro di questa sfida da terzo millennio conta oltre un milione di abitanti – del resto è il decimo centro urbano degli Stati Uniti per popolazione, terzo della California – “offre” un traffico piuttosto congestionato, il che permette di rendere ancora più realistico lo scenario di prova. Proprio per questa sua caratteristica e per l’avanguardia tecnologica tipica della Silicon Valley, la città dal 2017 ha esteso a più aziende l’invito per sperimentare strategie in grado di migliorare il problema del traffico; la guida autonoma, proprio perché coordinata e comunicante, è una delle soluzioni. L’altra, ossia la filosofia della sharing mobility, le va a braccetto. E quanto dimostrato finora è già una buona prova, anche se la strada è ancora lunga.
Alessandro Tonini