Il Vangelo di oggi si colloca subito dopo le tentazioni di Gesù nel deserto e quindi all’inizio della sua vita pubblica.
È il tempo in cui la sua fama va diffondendosi, ma anche il tempo delle domande su di lui.
Gesù dunque si reca nella sinagoga in giorno di sabato come il suo solito: luogo e giorno non sembrano casuali, ma ci ricordano come Dio, la sua parola, ciò che ha compiuto e copie per il suo popolo sono al cuore del popolo ebreo e di Gesù stesso e ritmano la loro vita.
Già qui possiamo cogliere un primo spunto di riflessione: il ritrovarsi di sabato nella sinagoga per gli ebrei, è come il nostro ritrovarci di domenica alla Messa: è questa una parentesi nella nostra vita, o è su di essa che si modellano le nostre attese, la nostra fiducia, la nostra vita quotidiana, con le sue gioie e i suoi dolori?
È intorno alle promesse dei profeti e alla memoria di quanto ha compiuto Dio per il suo popolo che si costruisce l’attesa del popolo ebreo, ed ora si trova davanti a uno che applica a se stesso una di quelle profezie e afferma di essere lui il Messia promesso.
La parte di Vangelo che è stata letta parla solo di quanti gli davano testimonianza, ma continua con le prime critiche e ostilità verso Gesù.
C’è da comprendere tutto questo, sia per la pretesa di Gesù di proclamarsi Messia, sia per lo sconvolgimento che portava nell’ordine costituito.
Dal brano letto da Gesù e applicato a se stesso emerge la missione di Gesù e il senso della sua esistenza.
Entra nella nostra umanità che ci appare, oggi più che mai, orgogliosa dei propri successi e delle proprie conquiste, eppure quanti sono prigionieri e oppressi.
È a questi che si rivolge anzitutto la missione di Gesù per portare loro liberazione.
Sarà la risposta che Gesù darà anche ai discepoli di Giovanni che dalla prigione gli manderà a chiedere se era Lui il Messia atteso o se dovevano aspettarne un altro.
Anche qui cogliamo un altro spunto di riflessione: Gesù che legge la propria missione in questo testo di Isaia, dice alla Chiesa e ad ogni apostolo che l’opera di Dio è annuncio di salvezza per i poveri e gli oppressi.
Occorre quindi liberarsi da ogni atteggiamento di orgoglio e di superbia se vogliamo davvero comprendere e accogliere il vangelo di Gesù come parola vera e viva per noi oggi, adesso: parola che dà perdono e liberazione nelle coscienze, che raccoglie e conforta ogni nostra sofferenza, che nell’umiltà non ci fa sperimentare l’umiliazione, ma la gioia di essere figli del Padre.
Don Gabriele
vicario parrocchiale