Pensava finalmente di trovare la libertà, il povero figliol prodigo, e invece, alla fine, quanta delusione e amarezza!
La libertà e la gioia le ha ritrovate nel ritornare al Padre e nell’essere da lui accolto: senza che il Padre gli chiedesse nulla, senza che lo lasciasse parlare, ma con un corrergli incontro e con un abbraccio che gli rivelarono come l’amore del Padre fosse più grande della sua pretesa e ingratitudine.
Ma si può essere vicini al Padre perché si abita nella sua casa, perché si è figli obbedienti, ma con il cuore lontano, incapaci di gioire con il Padre per un figlio e fratello perduto che ritorna: forse è questa la condizione più simili alla nostra.
Si fa presto a esaltare la misericordia di Dio espressa da questa parabola.
Ma chi, non diciamo che ha la forza di fare come quel papà, ma almeno che ritiene giusto, sensato il suo comportamento verso il figlio tornato?
Quanta ragione e giustizia c’è invece nelle parole e nel comportamento del figlio obbediente rimasto a casa!
Non diamo subito ragione a Gesù per la parabola raccontata: non capiremmo lo sproposito di Dio verso di noi.
Fin che si tratta di dividere l’eredità fra i figli e dargliela subito, ci può anche stare.
Ma riaccogliere il figlio che ha sperperato tutto vivendo in modo dissoluto e fare festa, questo ci sembra fuori da ogni buon senso.
Questo figlio torna sì a casa, ma perché spinto dalla fame: non sembra un vero pentimento, ma piuttosto una scelta di bisogno.
Avranno espresso sincero pentimento le parole che si riprometteva di dire al Padre: “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”?
E quando le dirà davvero, con quale sentimento le dirà?
Nel frattempo c’è stata l’accoglienza assolutamente sorprendente del papà: non sarà stata questa a ripulire quelle parole da ogni calcolo e a dirle con sincerità?
È l’amore del Padre che suscita il vero pentimento, che è anch’esso un atto di amore: come lo fu per Zaccheo, o per Pietro dopo il suo tradimento.
È l’incredibile e smisurato amore di Dio per noi, la sua bontà, la sua sofferenza innocente e offerta, non ribellata, che trasformano la nostra pretesa giustizia in un sentimento di indegnità davanti a Dio, ma anche di fiducioso abbandono in Lui, in forza unicamente nella sua bontà e nel suo amore.
È ciò che si sono detti Padre e figlio in quell’abbraccio.
Un amore che, se è vero, non può non gioire con il Padre per un figlio e fratello ritrovato.
È così la vera religione!
Don Gabriele
vicario parrocchiale