COVID IN SVIZZERA: “TANTA LEGGEREZZA, SFRUTTATO POCO L’ESEMPIO ITALIANO”



SVIZZERA – Dopo aver fatto il punto sulla gestione dell’emergenza Coronavirus in Spagna e Inghilterra, abbiamo parlato con una 27enne di Primaluna, che da diversi anni lavora come ricercatrice all’ospedale di Zurigo. Queste le sue parole.

Da circa una settimana di mia spontanea volontà mi sono chiusa in casa cercando di seguire le norme vigenti in Italia. Le misure restrittive in Svizzera sono state adottate lunedì 15, quando si è deciso di chiudere bar, ristoranti e altri luoghi di ritrovo, mentre prima si è agito esattamente come in Italia “a tappe”. Le misure sono state adottate fino al 19 aprile, mentre tutte le università di Zurigo sono state chiuse fino al 29 maggio. Le lezioni si fanno online e le ricerche sono sospese.

Nonostante le chiusure, qui non c’è l’obbligo di stare in casa e non serve alcuna certificazione per uscire come in Italia. Fino a pochi giorni fa si andava nei parchi e sul lungolago a Zurigo. La gente non aveva davvero capito la gravità della situazione. Ora tutti i parchi e la zona sul lago sono chiusi. In Svizzera ci sono circa 10mila casi e purtroppo la gente si rende conto della situazione quando capita qualcosa ai loro cari. Anche se bar e pub sono chiusi, spesso le persone si trovano a casa di amici.

Quando i casi in Svizzera erano ancora pochi, noi italiani eravamo visti come gli untori, la gente mi guardava male se parlavo italiano in centro (anche se potevo essere tranquillamente ticinese). Ora che la situazione è uguale in tutta Europa non siamo più visti così male e le misure adottate in Italia sono state prese come esempio, ma troppo tardi e non con la stessa intransigenza. Avrebbero dovuto agire prima. Tra le manovre adottate va considerato che la frontiera è chiusa (tranne per il personale sanitario).

L’ospedale dove lavoro non è collassato e per ora neanche in panico come in Italia, anche se c’è chi dice che ciò avverrà perché non si è molto pronti ad avere tante persone in terapia intensiva. Da una settimana anche qui si lavora in sicurezza: tutti hanno la mascherina, anche chi non lavora a stretto contatto con i pazienti.

Come per tutte la altre attività, anche qui consigliano lo smart working, limitando al minimo il lavoro in loco. 

G.G.

Nei prossimi giorni racconteremo le esperienze di altri valsassinesi che stanno affrontando l’emergenza lontano da casa. Se volete partecipare scriveteci a info@valsassinanews.com o sulla pagina Facebook.

 

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