COLOMBIA – Mentre la situazione coronavirus in Italia sembra essere in leggero miglioramento (incrociamo le dita), continuano le nostre interviste ai valsassinesi all’estero, che ci raccontano la gestione dell’emergenza nei paesi in cui risiedono.
Nello speciale di oggi, riportiamo la chiacchierata avuta con Chiara e Aaron, originari del Centro Valle e da tempo residenti a Palomino, città sulla costa caraibica colombiana, dove gestiscono il Primaluna Beach Hostel.
Io, il mio compagno Aaron e nostra figlia Alma Veronica siamo partiti per la Colombia l’11 febbraio. In Italia si sentiva parlare di Coronavirus al telegiornale ma ancora non si immaginava quello che sarebbe successo da lì a poco.
Il nostro programma era di fare un viaggio ‘on the road’ da Bogota al nostro ostello (Primaluna Beach Hostel) che si trova sulla costa caraibica colombiana, precisamente a Palomino, per poi ritornare a Bogota facendo un altro percorso e quindi altre tappe intermedie.
Le prime soste sono state in Antioquia, nei pressi di Medellin, e già iniziavano ad arrivare notizie dall’Italia che venivano trasmesse su tutti i telegiornali nazionali colombiani, annunciando al mondo che il temuto virus cinese era arrivato nella bella Italia. Ricordo che stavamo pranzando in un piccolo ristorante a Guatape quando abbiamo visto in TV le immagini di Roma e del Vaticano completamente deserti. Tutti osservavano le immagini ammutoliti.
Noi abbiamo proseguito il nostro viaggio e, mentre le notizie dall’Italia diventavano sempre più pesanti, in Colombia si iniziava a discutere di cosa fare nel caso il Covid-19 avesse raggiunto il Sud America. Ci siamo resi conto che avremmo dovuto cambiare i nostri programmi di viaggio quando ci trovavamo al mare a Coveñas e abbiamo visto dei colombiani salutarsi con la mano ad un metro di distanza mentre qui è sempre stato il regno dei baci e degli abbracci infiniti (in Colombia ti chiamano mi amor anche in banca).
Siamo arrivati a Cartagenas de India il 19 marzo e abbiamo affittato un appartamento per 3 notti. In quella data in Colombia c’erano circa 30 casi. In reception c’e’ stato un attimo di panico quando hanno saputo la nostra nazionalità, hanno iniziato a farci domande sul nostro stato di salute e poi, pur rassicurati dal fatto che fossimo entrati in Colombia da più di un mese, hanno optato per assegnarci un appartamento al ventesimo piano, lontani da tutto e da tutti.
Il giorno stesso del nostro arrivo il sindaco di Cartagena ha emesso un’ordinanza che decretava l’obbligo per tutti gli stranieri di isolamento preventivo per 2 settimanee per i colombiani il coprifuoco dalle 18 in avanti. I casi che si riportavano all’epoca, infatti, erano quasi tutti soggetti che venivano da un previo viaggio in Europa. Inizialmente il presidente della Colombia Ivan Duque ha disposto la quarantena dal 23 marzo al 13 aprile e la chiusura delle frontiere fino al 23 aprile.
Ad oggi la quarantena è stata estesa fino al 27 aprile e le frontiere riapriranno il primo di maggio. Noi siamo rimasti nel medesimo appartamento del ventesimo piano a Cartagena, facciamo la spesa on line e abbiamo chiuso al pubblico Primaluna Beach Hostel fino a data da definirsi.
Ad oggi in Colombia (dopo una ventina di giorni dall’inizio della quarantena) ci sono più di 2700 casi, dei quali quasi la metà a Bogota e più di un centinaio in Bolivar (il departamento dove si trova Cartagena). Credo (pur non essendo un medico) che il caldo torrido della costa colombiana in questo periodo (inizierà a breve la stagione delle piogge) fermi un poco la propagazione del virus, infatti le zone di maggior concentrazione sono Bogota e Antioquia dove le temperature sono più fresche e simili al nord Italia in questo periodo. I decessi al momento sono 100 e i recuperati più del doppio.
Con rispetto al comportamento dei Colombiani di fronte a questa emergenza devo dire che sono rimasta molto colpita della disciplina che stanno mostrando nell’osservare le regole, nonostante molti di loro vivano alla giornata e stare fermi in casa a lungo significhi azzerare del tutto gli ingressi, e dalla lungimiranza che dimostrano nel prepararsi a fronteggiare situazioni di emergenza. Hanno già montato ospedali da campo nelle principali città nonostante al momento, grazie a Dio, non siano necessari. Questa terra, che e’ anche la mia seconda patria, non finisce mai di stupirmi.
Un altro dato che mi ha colpito positivamente è che stanno dando aiuti economici immediati alla famiglie bisognose e alle piccole e medie imprese in termini di sospensione nel pagamento di tasse e utenze. Per quanto riguarda il controllo sulle uscite hanno applicato una regola semplice ed efficace. Si guarda l’ultimo numero del documento di identità. Ogni giorno, da lunedì a venerdì, possono uscire solo due numeri. Il sindaco di Bogota ha addirittura aggiunto dei giorni in cui possono uscire solo uomini e altri in cui possono uscire solo le donne. Questo tipo di controllo è molto semplice per gli organi di polizia.
Noi comunque, visto che il nostro viaggio non potrà proseguire secondo i piani, speriamo di poter rientrare in Italia prima possibile, siamo in contatto con l’ambasciata e con la compagnia aerea per fissare una data per il volo appena riapriranno le frontiere, forse verso i primi di maggio.
Questa è una foto dal nostro balcone: come si può vedere, la vigilia di Pasqua la città e’ deserta. Sullo sfondo si vede la città vecchia (che è la parte più turistica). Noi siamo a Bocagrande, il quartiere più moderno con i “rasgacielos”.
Rubrica a cura di Gabriele Gritti
Prossimamente racconteremo le esperienze di altri valsassinesi che stanno affrontando l’emergenza lontano da casa. Se volete partecipare scriveteci a info@valsassinanews.com o sulla nostra pagina Facebook.
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