CASARGO – Questa sera, giovedì 20 agosto, alle 21 nella biblioteca di Indovero verrà presentato il libro “Saluti da Narro” alla presenza dell’autore del volume Artemio Magistrali.
Di origini piacentine e da lungo tempo villeggiante in Alta Valsassina, Magistrali è professore di Storia e Filosofia al liceo di Legnano e all’università degli anziani, si è specializzato in giornalismo e pubblicità pubblicando anche racconti e poesie, tra i quali La collina incantata, premessa proprio di Saluti da Narro, un libro sulle “comunità morenti”, ovvero lo spopolamento delle realtà montane e lo sfilacciarsi delle relative comunità.
Presenterà la serata l’esperto di storia locale Marco Sampietro, che con queste parole introduce l’opera.
“Il ridente paesello di Narro è il più elevato della Valsassina. Dalla piazzetta che fiancheggia la chiesuola di S. Brigida si gode un incantevole panorama”. È con queste parole che, nel 1904, agli albori del turismo in Valsassina, Fermo Magni iniziava a descrivere Narro (allora frazione di Indòvero, oggi di Casargo) nella sua fortunata guida con la quale intendeva favorire una migliore conoscenza della valle da parte dei turisti e di quei forestieri che affollavano le rive dei laghi e le località montane della Svizzera. In quegli anni, infatti, si stava sviluppando in valle la cosiddetta “industria del forestiero” e migliaia erano i turisti che, affranti dal turbinio della frenetica e convulsa vita cittadina, si portavano in Valsassina ad ammirare le sue bellezze naturalistiche e a cercare svago tra i suoi monti.
Ai primi turisti, rappresentati quasi esclusivamente dai frequentatori delle terme di Tartavalle, dagli alpinisti e da quelle famiglie emigrate stabilmente in città che ritornavano a trascorrere le vacanze nel paese di origine, si aggiunsero poi i villeggianti che con i “villini” prima, e con i condomini e le “seconde case” poi, mutarono la geografia del territorio valligiano, nonché la sua fisionomia urbanistica, determinando, nel bene e nel male, irreversibili trasformazioni ambientali e sociali.
Di queste trasformazioni e delle loro conseguenze discute con pacatezza, senza fretta e pregiudizi, quasi con distacco ironico o scherzoso, l’Autore di questi ricordi-racconti, Artemio Magistrali, un villeggiante narrese DOC di origini piacentine. I suoi “Saluti da Narro” sono quasi un poema in frammenti di prosa, una velata confessione autobiografica, uno scavo archeologico di un paese “in agonia”, nonché un’affettuosa e nostalgica rievocazione di un “tempo perduto”.
Grazie alla girandola evocativa dei ricordi dell’Autore e alle cartoline che corredano il volume, il piccolo paese di Narro sembra quasi riprendere vita in questo viaggio nel tempo e nello spazio, lungo il quale, tra le pagine, sembra quasi di udire le voci, i suoni e i rumori e, perché no, i silenzi della vita di un tempo, nonché il profumo delle michette appena sfornate. Attraverso la poetica dei luoghi e degli oggetti Magistrali ci regala, infatti, un’eccezionale istantanea di un microcosmo, quello di Narro, che sta ormai per estinguersi, sempre di più, ad ogni anno che passa, a causa dello spopolamento e soprattutto del venir meno di quel senso di appartenenza e di identità che contraddistingueva la vita comunitaria di una volta. Ci sfilano così davanti agli occhi gli “attori” di quel mondo: persone, come, ad esempio, il parroco, l’oste, il cercatore di funghi; edifici, come le chiese, le cappellette, la scuola, il lavatoio, l’osteria, la cantina, i vicoli stretti, le case addossate le une alle altre; ambienti come la selva, le mulattiere, il Giumello, la Val Biandino. Di questo microcosmo l’Autore fissa anche nomi e soprannomi, riflessioni proverbiali, riserva di autoctone massime e costumi. La lingua di questi ricordi-racconti è, infatti, decisamente originale: una lingua colta che incastona parole latine, alternando alla discorsività quasi familiare toni molto letterari con numerose citazioni erudite; una lingua “alta” intervallata al dialetto con termini vernacolari veri e propri o, più frequentemente, con calchi italiani dal dialetto e tracce di italiano regionale.
Con questa raccolta di storielle curiose, di aneddoti e di ritratti emblematici di un mondo ormai perduto l’Autore sa cogliere e raccontare l’attualità di un villaggio montano in una fase nuova della sua storia, raffigurando lucidamente il passaggio della società italiana dalla civiltà contadina alla modernità industriale, consapevole che omnia mutantur, nihil interit: se è vero che “tutto si muta”, è altrettanto vero che “nulla perisce” (Ovidio, Metamorfosi, XV, 165).