GIOVANNI INVERNIZZI, 100 ANNI E SCOMMESSA VINTA. GLI AUGURI DI CREMENO E IL NIPOTE RINUNCIA A UN METRO DI DREADLOCKS



CREMENO – Festeggia oggi, 30 gennaio, il suo primo secolo Giovanni Invernizzi. Qualche palloncino in casa, la targa del Comune, e il nipote che adesso, come promesso al nonno, dovrà tagliare i suoi lunghi ‘rasta’, 97 centimetri di dreadlocks.

Giovanni Invernizzi, classe 1921 e da sempre residente nella frazione di Maggio, è il primo in paese a raggiungere il traguardo dei 100 anni. L’amministrazione di Cremeno gli ha reso omaggio con una targa personalizzata, consegnata dal sindaco Pier Luigi Invernizzi insieme agli auguri espressi a nome di tutta la cittadinanza durante una breve cerimonia in sala consigliare.

“Giovanni sei un pezzo di storia del nostro Comune – gli ha ricordato il primo cittadino, che nonostante l’omonimia non è parente – e ti ammiriamo per la dedizione verso la tua famiglia e il tuo lavoro. Buon compleanno!”

A parte un po’ di udito debole, il centenario è in formissima. Ha un solo figlio, Renato, ma ben quattro nipoti e tre pronipoti. Li ricorda tutti – Sara, Matteo, Fabrizio, Luca, e poi Arianna, Giada e infine Matilde di dieci mesi – mentre la moglie Giovanna è mancata lo scorso anno. Arrivare a 100 anni era la scommessa fatta con Luca, in palio i lunghi e annodati capelli.

A causa del Covid la famiglia Invernizzi non ha potuto festeggiare il compleanno del nonno come avrebbe voluto. In aiuto sono arrivati i social, ai quali è stato affidato un ‘volantino’ che in poco tempo ha collezionato centinaia di auguri.

Giovanni Invernizzi può vantare anche una memoria di ferro e non ha dimenticato gli aneddoti della giovinezza e le peripezie della guerra. “Ho fatto il boscaiolo fino al momento del militare – ci racconta – ma di guerra ne ho fatta poca perché sono scappato per tornare a casa. Di stanza a Cesana Torinese, combattemmo in Francia, Macaronì ci chiamavano, e con l’Armistizio non sapevamo cosa fare. Ci radunarono in una piazza ma appena vedemmo passare gli ufficiali italiani in borghese anche noi togliemmo la divisa e via verso casa. Quasi tutta a piedi, per tornare a fare il boscaiolo, e un po’ di carcere a San Vittore”.

Il motivo fu un’azione della Resistenza finita male. “Non ho fatto il partigiano ma a Maggio c’erano sia la caserma dei tedeschi sia l’accampamento dei repubblichini e così si scelse di fare un attentato. Non andò bene e in risposta i fascisti rastrellarono tutti gli abitanti di Maggio e li portarono a San Vittore, anche se sapevano che i partigiani stavano altrove”.

Sistemate le cose, Giovanni Invernizzi prese parte alla Cooperativa Muratori Valsassinesi (chiusa una decina di anni fa, ndr), principalmente come autista del furgone: un chiassosissimo Motocarro Guzzi. E la patente la tenne fino a pochi anni fa. La decisione di rinunciarci fu sua: “Non volevo che in caso di incidente, e senza avere colpe, per la mia età mi avrebbero fatto passare per scemo”.

 

Cesare Canepari

 

 

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