Buongiorno redazione di Valsassinanews,
scrivo questa lettera perché a un anno di distanza dalla scoperta dei casi di Covid in Italia la situazione nel nostro paese mi sembra peggiorata.
Non parlo solo della diffusione del virus ma anche dei rapporti tra le persone. La capacità di adattamento del genere umano è messa alla prova come non mai prima d’ora. Ci siamo abituati a indossare la mascherina per proteggere noi e gli altri, laviamo e sanifichiamo le mani più volte al giorno, i nostri figli e nipoti hanno cambiato il modo di frequentare la scuola, facendo didattica a distanza, seguendo le lezioni su uno schermo e non frequentando i compagni di classe, non andiamo a cena nei ristoranti, manteniamo le distanze con le persone e non creiamo assembramenti, abbiamo cambiato le nostre abitudini e ci sono state imposte nuove regole.
Ma quando si tratta di sentimenti, come la mettiamo?
Un mio parente 90enne nei giorni scorsi ha avuto bisogno dell’ambulanza ed è stato costretto a chiamare i soccorsi. Abitando da solo, ci ha telefonato nel cuore della notte dicendo di non sentirsi bene e di aver chiamato l’ambulanza. Il personale medico è intervenuto tempestivamente e prima del nostro arrivo lo ha portato in ospedale. Il giorno successivo non siamo riusciti a rintracciare i medici che lo hanno in cura. Mio zio ha dimenticato a casa il telefono cellulare e non riusciamo a sentirlo. Ieri finalmente un medico ci ha spiegato il quadro clinico e il motivo del ricovero. Lo zio sarà curato.
Quello che io mi chiedo è: una persona anziana che abita sola, perfettamente in grado di badare a se stessa, deve essere sottoposta a un’ulteriore solitudine anche in ospedale? Deve essere privato dell’affetto dei suoi cari anche quando la presenza dei familiari sarebbe di aiuto e forse anche terapeutica? Anche i nostri sentimenti si dovranno adattare a causa del coronavirus?
Un lettore demoralizzato