Quella della famiglia Bressi è una storia difficile da raccontare perché è una storia di dolore estremo, di sofferenza viscerale, di disperazione e di tragedia. Da qualsiasi punto di vista la si guardi, è una storia terrificante.
È la storia di due ragazzi di 12 anni, Diego ed Elena, strappati alla vita dalle mani del loro papà. Mani che si sono strette con tutta la loro forza attorno ai loro colli, soffocandoli. Mani di cui loro si fidavano ciecamente. Le mani di un papà qualunque, come affermano le ricostruzioni: una persona normale, senza particolari tratti psicologici o comportamentali. Almeno, che si sappia. Perché possiamo affermare con un certo grado di certezza che un padre che uccide a mani nude i suoi figli, che vaga per ore nella notte dopo averli uccisi, che manda messaggi deliranti alla moglie circa quanto avvenuto e che poi si suicida, fosse preda di un estremo disagio psicologico di cui nessuno si è accorto.
Inevitabilmente, come è ovvio che sia, Mario Bressi è stato dipinto di media e dall’opinione pubblica come un mostro. Ma forse il mostro non era lui, Mario Bressi il mostro ce lo aveva dentro. Sofferenza, dolore estremo, disperazione. Vissuti emotivi e psicologici talmente tanto impattanti per quest’uomo da portarlo a compiere un gesto così drammatico. Un’autopsia psicologica ci direbbe che la personalità di Mario Bressi era sicuramente deviata, consumata da pensieri disumani, da una sofferenza che non lascia scampo e da un imperversante delirio capace solo di mietere vittime.
Se solo avessimo la possibilità di sapere quali pensieri si sono accavallati nella mente di Mario Bressi nel momento in cui ha deciso di uccidere i suoi stessi figli, almeno noi psicologi potremmo provare a capire, a dare una spiegazione. Potremmo provare a dotare di senso la morte di Elena e Diego leggendola come l’esito disumano di uno strazio che ha logorato il loro papà.
La storia di dolore lancinante è anche la sua, di Mario Bressi: padre, assassino, e vittima della sua stessa psiche. Un uomo che ha messo fine alla vita dei suoi figli, forse per arrecare sofferenza alla moglie dalla quale si stava separando, forse per rispondere ad un delirio imperversante che lo ha portato a perdere la ragione. Forse per motivi che non sapremo mai, perché Mario Bressi ha portato la sua verità psicologica con sé, facendola precipitare insieme a lui nel vuoto sotto il Ponte della Vittoria, dal quale si è suicidato.
I ragazzi sono morti nel sonno, la notte tra il 26 e il 27 giugno 2020. Non sapremo mai con assoluta certezza se si siano accorti di quanto stava accadendo loro. Il vicino, che dormiva nell’appartamento sopra di loro, ha sentito rumori strani provenire dal loro appartamento verso circa le 3 di notte. Si strugge, ai microfoni dei colleghi giornalisti, quando la mattina dopo si rende conto di quanto accaduto: erano sotto li lui, ad una sola rampa di scale di distanza. Ma nulla avrebbe potuto, i ragazzi non hanno urlato, non poteva immaginarlo. Capisce tutto la mattina dopo, quando sente urla straziate: si precipita e vede la madre dei ragazzi accasciata a terra, che urla “non si svegliano”. Cerca di precipitarsi all’interno della loro abitazione ma lo ferma un agente. Si rivolge ai soccorritori, che tra lo sgomento, l’incredulità e le lacrime si lasciano scappare un “i ragazzi sono blu”.
Lì a terra, straziata da un dolore mortale, c’è Daniela. Ha ricevuto messaggi deliranti dal marito dal quale si stava separando e ha compreso il pericolo. Con la sorella ha percorso la strada fino a Margno, sperando di fare in tempo. Io me la immagino in auto, devastata. Me la immagino correre letteralmente contro il tempo, con la fame d’aria tipica del panico più viscerale, incapace di capire cosa le stia accadendo. La immagino che si precipita fuori dall’auto e poi dentro l’abitazione, urlando i nomi dei suoi figli, incapace di rendersi conto che sono lì, esanimi dinnanzi a lei, blu. Morti.
Daniela si è dichiarata fin da subito incapace di provare odio nei confronti del marito, anche perché Mario Bressi togliendosi la vita le ha negato persino la possibilità di avere qualcuno contro cui dare libero sfogo alla sua lecita rabbia. Daniela ha provato, sta provando e proverà per il resto della sua vita, il dolore più straziante che una madre possa provare. Soffrirà, ogni giorno della sua vita, per l’assenza dei suoi splendidi figli.
Daniela ha scritto una lettera bellissima ai suoi bambini per il loro funerale; una lettera che qualcuno ha definito come il primo fiore spuntato a Hiroshima, dopo la bomba.
La storia vista dal punto di vista di Daniela si rappresenta così, come la deflagrazione di una bomba atomica: un impatto devastante, che non lascia scampo, che non lascia superstiti. Un’esplosione di male atroce, patologicamente violento e disumano. Tutto attorno a lei ci sono brandelli della sua vita, della sua anima, della sua intera esistenza, provocati e sparsi ovunque dalla devastante esplosione del male. Vissuti psicologici e traumatici indescrivibili, avviluppati nella sua mente e nelle sue viscere, inimmaginabili e dolorosi al punto di togliere il respiro.
L’augurio, ad un anno di distanza, è che Daniela possa, un giorno, veder fiorire un fiore dopo la bomba.