Il Vangelo di oggi si inserisce in un’aspra discussione di Gesù con i Giudei che lo avversavano e lo volevano uccidere perché aveva guarito un paralitico in giorno di sabato e, ancor più, perché si faceva uguale a Dio chiamandolo “Padre mio”. Anche oggi Gesù dice: “Sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete”, e denuncia l’ostacolo che non permette loro di accoglierlo: “Cercate e ricevete gloria gli uni dagli altri”.
Ancora una volta Gesù afferma che la presunzione, la superbia rendono impossibile l’avvicinarsi a Dio.
Continua Gesù dicendo: “Voi non avete mai ascoltato la sua voce – quella del Padre -, né avete mai visto il suo volto”: come Gesù può dire così dal momento che Lui stesso riconosce che quei Giudei “scrutavano le Scritture”, e le Scritture sono la parola stessa di Dio?
Si può dunque essere studiosi della Parola, eppure in essa non avere mai incontrato né Gesù, né il Padre?
Anche qui Gesù sembra dare la risposta: “Io vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio”.
Ci sono cose che non si capiscono con l’intelligenza e con lo studio, ma con il cuore e con l’amore: parole, silenzi, gesti, sguardi: è così anche fra noi.
La sola intelligenza fa sapere ma non capire; è l’amore che fa comprendere, anche se mancano le parole per spiegare.
Il Vangelo non è un testo da sapere e basta, ma da sapere per poterlo pregare.
Si può credere che Dio esiste, si possono conoscere anche i particolari più nascosti delle Scritture … ma non aver maifatto un’esperienza personale di Lui: non aver mai sentito rivolta a sé stessi la sua bontà, la sua misericordia, non avere mai sentito su di sé un suo gesto, una sua parola.
Sta qui la differenza radicale fra il conoscere le Scritture alla maniera di quei Giudei e l’essere umili ma veri discepoli di Gesù.
Viene alla mente la figura del cieco nato guarito, che per avere difeso Gesù davanti ai Giudei, questi lo accusarono dicendo: “Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? E lo caciarono fuori”.
E Gesù, incontratolo, si rivelò a lui, e il cieco lo riconobbe.
Non era accecato dalla presunzione di sapere, non cercava una gloria personale né l’aveva da difendere: aveva fatto un’esperienza personale di Gesù: prima guarito e poi cercato nella sua solitudine, e lo aveva creduto e amato.
Che ciascuno di noi possa dire con sincerità e stupore: “Questo tuo gesto, questa tua parola, Signore, è proprio per me”.
Don Gabriele
Vicario parrocchiale