Trovo sia parecchio difficile esprimere qualcosa in merito alla tragedia della Marmolada: troppo recente l’evento, troppo grande lo sconcerto e intenso il dolore per chi lassù ha perso la vita. Ho letto alcune valide considerazioni di climatologi e glaciologi (segnalo quelle ottime di Giovanni Baccolo, che si occupa di ghiacciai per il Dipartimento di Scienze Ambientali e della Terra dell’Università Milano-Bicocca, nel suo sito storieminerali.it) in mezzo al solito bailamme di opinioni superficiali e inutili che sovente hanno preso la forma di vere e proprie stupidaggini – in perfetto stile mediatico italiano, ahinoi. Mi tengo ben lontano da tali vacui dibattiti e trovo che nulla si possa e si debba aggiungere alle preziose valutazioni scientifiche più competenti sopra accennate.
Tuttavia due considerazioni, in particolare, mi è venuto di formulare leggendo le cronache di questi giorni. Innanzi tutto, l’incredibile (in accezione negativa) mancanza di conoscenza della montagna, anche al livello più elementare, che emerge in maniera palese da molte dichiarazioni di personaggi con competenze politiche nella gestione del territorio. Non è una novità, lo so bene, forse il mio sgomento è frutto di mera ingenuità, ma che territori peculiari sotto ogni punto di vista come quelli di montagna vengano trattati con così evidente dilettantismo è cosa che trovo assolutamente inquietante. Che i media si nutrano di slogan e di sensazionalismi artificiosamente costruiti è risaputo, che le autorità competenti si adeguino a questo “stile” è inaccettabile.
Sostenere come hanno fatto molti, ad esempio, che un evento come quello della Marmolada sia “eccezionale”, quando nel Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi curato dal gruppo di ricerca GeoClimAlp (https://geoclimalp.irpi.cnr.it/catasto-frane/) vi sono informazioni relative a più di 500 processi di instabilità naturale in alta quota (frane, colate detritiche, instabilità glaciale) avvenuti nelle Alpi italiane tra il 2000 e il 2020, è semplicemente insensato.
Potrebbe tutt’al più essere considerato in quel modo a livello di “cronaca” e per la tragicità delle conseguenze (molti altri casi simili non hanno coinvolto persone e dunque sono passati in sordina), ma un evento così è innanzi tutto un fenomeno geofisico e climatico che in quanto tale deve essere principalmente considerato, e in questo caso “eccezionale” non lo è affatto, appunto. Altrimenti l’effetto generato è quello di una sostanziale minimizzazione dell’evento – il che è probabilmente quello che molti dei sostenitori dell’eccezionalità vogliono strumentalmente ottenere, mi viene da pensare – oltre a un’inevitabile deresponsabilizzazione generale al riguardo, quando è inutile rimarcare che è invece proprio la crescente consapevolezza culturale, per certi versi ancor più che tecnica e scientifica, a rappresentare il principale strumento preventivo a nostra disposizione, sui ghiacciai e altrove.
Oppure: dichiarare che anche in montagna come al mare vi debbano essere “bandiere rosse” per segnalare i pericoli, come ha fatto di recente il presidente della Provincia Autonoma di Trento, c’è da sperare che sia solo una boutade a favore del giornalismo più qualunquista, altrimenti non può che essere considerata una gran fesseria. Allora si dovrebbero dichiarare pericolose tutte le Alpi e impedirne l’accesso dopo ogni forte nevicata, ad ogni periodo di caldo più intenso del solito o di piovosità oltre la media… e poi come si può stabilire poi la pericolosità di fenomeni che avvengono in ambiti invisibili e incontrollabili all’occhio e agli strumenti umani, come ad esempio presso il letto di scorrimento delle masse glaciali? Anzi, prima o poi le montagne inesorabilmente crolleranno, è risaputo: vietiamole del tutto fin da ora, così azzeriamo il rischio e siamo a posto, no?!
Intanto l’attività di monitoraggio dei ghiacciai italiani avviene ancora su base quasi esclusivamente volontaria, senza che lo stato ne comprenda la fondamentale e crescente importanza per la sicurezza del proprio territorio istituzionalizzandola e sostenendola adeguatamente! Vi pare logico tutto questo?
La seconda cosa: l’evento catastrofico che è avvenuto sulla Marmolada – niente affatto “eccezionale”, ribadisco, e anzi destinato a manifestarsi con frequenza crescente, nel prossimo futuro – segnala tra le altre cose una questione di importanza assoluta per i territori di montagna, diversa nella forma ma non nella sostanza e nei pericoli potenziali che ne possono derivare: il disfacimento per il riscaldamento climatico del permafrost presente pressoché ovunque sui monti oltre i 3000 m, anche quelli non coperti da ghiacciai e nei versanti più riparati anche a quote inferiori, che fa da collante per gli edifici rocciosi sommitali delle vette e senza il quale, di conseguenza, quelle vette sono a rischio di crollo.
Per tornare ai dati presenti nel Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi, di oltre 350 fenomeni franosi già attentamente studiati si è potuto appurare che il 92% di essi è associato a una o più anomalie climatiche e principalmente a scioglimento di ghiaccio interstiziale – il permafrost, appunto. Sembra che il permafrost abbia avuto un ruolo anche nell’innesco della gigantesca e catastrofica frana della Val Pola del 1987, nel cui accumulo fu osservata la presenza di blocchi di ghiaccio che, in unione alle alte temperature di quell’estate (nella quale più volte lo zero termico andò oltre i 4000 m: allora un evento raro, oggi è ormai la norma estiva), farebbero pensare a una fenomenologia nel principio molto simile a quella manifestata sulla Marmolada.
Insomma, siamo di fronte a un profondo cambiamento geofisico, e non solo, dei territori di montagna in forza della realtà climatica in divenire, che non siamo in grado di sapere come si evolverà – magari senza troppi danni, magari invece in modi catastrofici – e per il quale non siamo preparati né tecnologicamente né tanto meno (cosa peggiore, secondo me) culturalmente.
D’altro canto una tale trasformazione del paesaggio montano, sia essa conseguenza dell’attività antropica o meno (nemmeno qui entro nel dibattito, peraltro inutile) è una manifestazione della componente di imponderabilità che in montagna esiste da sempre: questo lo sa bene per primo proprio chi frequenta consapevolmente i monti, ovvero non da turista sprovveduto e ben più, a quanto pare, di tanti amministratori dei territori di montagna, i quali pretendono di dominare l’imponderabile naturale con iniziative balzane, divieti irrazionali e altre simili dimostrazioni di pilatismo oltre che di ipocrisia, visto che, per quanto ho osservato prima, tutte le montagne di una certa importanza geomorfologica sarebbero da vietare! Peraltro, se realmente volessimo azzerare il rischio, come pretende in vari modi il modus vivendi contemporaneo, sui monti non dovremmo proprio andarci – ma non dovremmo nemmeno attraversare una strada sulle strisce pedonali, per lo stesso principio!
Ciò che invece possiamo fare, e con necessaria continuità, è coltivare la più diffusa consapevolezza culturale alla base della fruizione (ludica o che altro) di qualsiasi territorio naturale e la relativa relazione con il paesaggio, dalle quale ricavare pure la più adeguata resilienza al cambiamento epocale che sta subendo la montagna, al contempo, socraticamente, sapendo di non sapere ciò che ci attenderà nel futuro ma essendo pronti ad affrontarlo nel migliore dei modi. Una cultura che, se ben praticata, eviterebbe anche la diffusione di tante insensatezze al riguardo e agevolerebbe una ben maggiore cura e sensibilità verso i territori montani, le loro problematicità, i pericoli, i bisogni, la loro evoluzione ambientale e antropica futura, restando ben lontani da qualsiasi deresponsabilizzazione indotta, forse ad arte, per nascondere inquietanti incapacità politiche e drammatici menefreghismi ambientali, che si tratti di ghiacciai, di clima o di ogni altro tema.
Tutto ciò, senza mai mettere in secondo piano il cordoglio più grande per le vittime della Marmolada e di ogni altra simile, imponderabile tragedia che, c’è da augurarcelo fervidamente, non abbia a diventare una ponderata normalità nel prossimo futuro.
Luca Rota
scrittore, fotografo e blogger lecchese
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